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Thursday, July 21, 2011

Why I'm not on Google+

Having a large number of friends — and not in the Facebook sense — I'm not surprised that I received several invitations to Google's new "social network", Google+. Instead of rushing headlong into it, though, I let those invitations rest for a while, while considering whether joining would actually do me any good.
I'm glad I was cautious. In almost no time, and with no effort on my part, I received enough off-putting, if unsurprising, news to decidedly make my mind.
Google+ terms of service and policy are as always geared towards the benefit and safety of Google, not my benefit and safety. They are explicitly sex-negative, even going so far as removing a specific exception for art nudes which was previously in place. They are chicken-hearted blanket statements meant to empower the company to arbitrarily disallow content on a case-by-case basis, which amounts to censorship. Cue the completely arbitrary ban of Anonymous. What does that remind me of? Oh, yeah…


Well, I'm not joining. I didn't resist joining Facebook for so long just to impulse-subscribe a service which is just the same, affected by just the same liabilities and involving just the same dangers. For the time being, I'll go on using the Status.net (specifically identi.ca) as my sole "social network" provider.
My connections — the real-life ones — are an asset to a company like Google, and what has Google done to merit me gifting them with my assets? My demands weren't that high either: just by doing nothing at all they'd have qualified as exceeding my expectations. But no, they censored content and people, instead.
I'm actually beginning to feel uncomfortable having my e-mail, blog and a couple in-development websites all hosted by Google: surrendering this much of myself to a company was a mistake. At the time, they looked like the safest of companies, but I was just young and naive: big business is big business, and in the end their friendly facade is crumbling and revealing the extent of the lie. I will go looking for alternatives. So, maybe I ought to thank Google+ for raising my awareness of the problem.

Wednesday, February 3, 2010

Basta con la TVAmerica!

Due settimane or sono, nell'ambito della manifestazione CON-VIViO organizzata a Monza da La Chiave di Giano, nell'arco di due giorni partecipo:
  • al live Anger Control di Stefano Padovan (A.L.T.), che come situazione iniziale ha una seduta di terapia di gruppo. A Los Angeles.
  • a una "demo" della campagna live Lucciole e Lanterne del gruppo Bergamo di Mezzo, unico evento che non rientra nel discorso che sto facendo - anche perché era essenzialmente uno scenario fantasy.
  • all'ottimo Love is Blue di Fabrizio Bonifacio (che già conoscevo e di cui sono un sostenitore), piccolo capolavoro di suspense che utilizza (molto bene) i classici temi cinematografici del serial killer folle e del "gioco mortale", ma ponendo i giocatori in maniera molto convincente nel punto di vista delle vittime - persone normali la cui vita viene improvvisamente stravolta. Ambientazione? Da qualche parte in America.
  • al magnifico Dubbio (Doubt), di cui anzi mi sono ritrovato in maniera imprevista a essere il "regista" (per la seconda volta nella mia vita, e sempre con grande piacere). Si tratta dell'edizione italiana di un gioco i cui autori sono svedesi. I personaggi principali si chiamano Tom, Julia, Peter e Nicole. (*)
Aggiungo che avevo in programma (ma la cosa è poi saltata per il - prevedibile - dilungarsi di Dubbio) di partecipare al live Sturm und Drang, creato internamente a La Chiave di Giano: un live tutto incentrato sui profondi drammi interiori dei molti personaggi e ambientato, come ho poi scoperto, nei non-luoghi della estrema provincia statunitense come visti in film quali Clerks.

Are you sensing a pattern here? Well, I am.

Non vedo perché "l'ambientazione di default" per i giochi di produzione italiana, giocati in Italia, quando non è fantasy debba essere "l'America". In particolare perché "l'America" rischia di risultare essa stessa un mondo di fantasia: per la maggior parte di noi è l'ambientazione dei film di Hollywood, qualcosa di visto in TV, un mondo conosciuto solo attraverso opere di fiction... non la vita vera.
E questo è un difetto di design.
Se abbiamo la volontà di "mettere in gioco" problemi reali, di far provare ai giocatori esperienze anche estreme, ma di persone vere... Oppure, se vogliamo partire da questo senso di realtà anche solo per poi appositamente stravolgerlo, come accade spesso nei giochi horror o nei thriller... allora, l'utilizzo della pseudo-America come "setting" è un errore di design. Significa introdurre un ulteriore filtro tra giocatori e gioco (come se ce ne fosse in qualche modo bisogno!): il filtro di un mondo praticamente fantasy, appunto, perché esperito solo mediante fiction. Un appiglio in più per giocare "safe", se si vuole, ma non certo una spinta in più a mettersi intimamente in gioco.

* Dubbio, se si vuole, ha anche una giustificazione, nel fatto di essere "l'edizione internazionale" di un gioco svedese. Va riconosciuto che proprio l'editore NarratTiva, là dove era veramente indispensabile al funzionamento del gioco -- e cioè con Sporchi Segreti/Dirty Secrets -- ha osato un adattamento che non fosse semplice traduzione linguistica, "italianizzando" il gioco come infatti si doveva. Ma la prossima volta che giocherò a Dubbio voglio provare, sinceramente, a cambiare i nomi dei personaggi con versioni italiane. Basterà questo a togliere i giocatori-attori dall'imbarazzo (sempre palpabile) di non poter dichiarare alcunché di geograficamente connotato poiché non sono in alcun luogo, come in certi vecchi adattamenti televisivi Mediaset di serie animate giapponesi?

Thursday, December 17, 2009

Perché non mi piace dire "New Wave"

Premessa: l'espressione "New Wave" è un artefatto della discussione internettiana in Italia, coniata per designare "tutti i gdr diversi da Parpuzio", dove "Parpuzio" è un (fortunatissimo) termine escogitato dal diabolico Moreno Roncucci per indicare quell'unico gioco che tutti abbiamo giocato per anni e anni sotto diversi nomi autoconvincendoci che si trattasse di più gdr diversi (e/o che si trattasse dell'unico gdr possibile, o che le sue regole coincidessero con la definizione stessa di "gdr"). Già da tempo, io sto attivamente evitando di usare tale espressione.

Mi rifiuto di parlare di "New Wave"...

Mi rifiuto di parlare di "New Wave" perché ciò fa immaginare, a torto, che sia esistita una "old wave". E, poiché il vecchio ha, in assenza d'altre indicazioni, dignità pari al nuovo, ecco che la magia della dialettica spacca il cielo in due parti: in insiemi apparentemente equivalenti, di pari peso e infine di pari dignità. Il che, per chi è informato della realtà dei fatti, è semplicemente ridicolo ‒ talmente stupido da non poter neppure essere preso in considerazione.
Gli automatismi del discorso ci faranno sempre immaginare due insiemi contrapposti come equivalenti, e così ghettizzandoci da noi stessi dentro un'espressione come "New Wave" siamo proprio noi a creare una "old wave", una fazione del "gioco tradizionale", investendola di una dignità cui razionalmente non avrebbe diritto: di fronte a un singolo e tracotante gioco che dovremmo, non dico lasciare sulla strada, ma incorniciare serenamente in un museo della nostra storia passata attendendo che sia abbastanza invecchiato da poterlo, forse, prendere in considerazione solo per un fugace e raro atto di retro-gaming... di fronte al vecchiume di cui siamo stati schiavi e di cui dovremmo essere stanchi, noi invece legittimiamo una fazione di disinformati, di polemici, di giocatori soltanto di nome ad autoproclamarsi nostri eguali e opposti, e trascinare quindi all'infinito un "dialogo" attorno al nulla. Dove invece non c'è dialettica possibile, se una delle "fazioni" coincide con il "quasi tutto" mentre l'altra incarna il "pressoché niente", la più desolata e desolante assenza di contenuti (fosse anche di un vuoto maieutico e stimolante).
"Ma quale niù ueiv", dovremmo dire: "noi ci interessiamo ai giochi di ruolo. E voi, invece, chi cazzo siete? Nessuno."

Somiglia, fin troppo, a un qualsiasi presunto "discorso" politico tra "destra" e "sinistra", anzi, tra "conservatori" e "progressisti". Perché "progressisti" dovrebbe significare: sostenitori dei diritti umani, contrari alle discriminazioni, laici, scientifici, razionali, ecologisti... una sorta di summa di tutti i possibili valori positivi, roba che osteggiarli, essere contro, dovrebbe esser visto come un crimine contro l'umanità. E invece, tutto questo viene chiamato "sinistra": come a dire che le simmetriche posizioni oscurantiste, demagogiche, irrazionali, poliziesche, utilitaristiche e personaliste, lobbistiche, hanno una eguale dignità come "destra". Ma il delirio di questo non-ragionamento abbiamo ben poca difficoltà a ignorarlo, a dimenticarlo di proposito, visto che il "discorso" politico noi siamo soliti farlo solo per negazioni: compare un giorno un signore che dice "votate per me perché non sono di sinistra" e vediamo allora la nostra presunta "sinistra" ridurre la propria identità politica al "noi siamo anti-Berlusconiani". Ed ecco che ogni possibilità di un discorso politico è stata ridotta a lanciarsi slogan ed epiteti tra curva e curva di uno stadio, con al centro la faccia e il nome di una singola persona (che non costituiscono certo un oggetto politico!), insomma a un non-dialogo attorno al puro niente.

Lo stesso accade nel discorso internettiano italiano attorno al gdr: si dice "New Wave" e si appiattisce tutto ciò che c'è di buono e di giusto, anzi, ogni possibile contenuto all'interno del semplice "non essere Parpuzio"... e così siamo proprio noi a costruire a questo nano nietzschiano, "Parpuzio", i tacchi rialzati su cui elevarsi come un gigante di cartapesta a minacciare da eguale a eguale il tutto, soffocando ogni potenziale dialogo col suono infantile del suo organetto.