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Saturday, June 7, 2014

[Commenti Game Chef] La Città di Giuda, di Daimon Games


Sono in ritardo nel mettere per iscritto le recensioni, ma non nel farmi un’opinione sui giochi. Per il ciclo “valutazioni del Game Chef 2014 italiano” proseguo con “La Città di Giuda”, di uno o più autori che si presentano sotto lo pseudonimo “Daimon Games”. Dai dati di contatto posso desumere nome e cognome di una persona che, peraltro, conoscevo solo di nome, ma per il resto questo è il mio primo incontro con DaimonGames: in un secondo tempo probabilmente scaricherò e leggerò i vari giochi proposti sul suo/loro sito.

Presentazione

“La Città di Giuda” è un gioco di ruolo di impostazione alquanto tradizionale, incentrato sulle violente e pericolose avventure di un manipolo di mercenari affiliati all’organizzazione paramilitare del Pugno di Ferro, ambientato in una versione fantasy dei regni crociati nel Levante medievale. I meccanismi e gran parte della struttura sono una modificazione di quelli di Apocalypse World (l’omaggio è evidente, seppur non esplicitamente dichiarato).
Il tutto è presentato come due fogli fronte-e-retro competentemente impaginati: una scheda del personaggio che riporta sul retro le regole per il giocatore e un secondo foglio che descrive l’ambientazione e presenta le istruzioni per “il Master”. Con ciò sembra inquadrarsi nel filone di quei “micro-giochi”, come Lasers & Feelings oppure Ghost Lines di John Harper o Cthulhu Dark di Graham Walmsley, che attraverso rimandi ad una consolidata tradizione orale cercano di presentare un “manuale” quanto più completo possibile nel minimo dello spazio (e in ciò non sono da confondere con altri “micro-giochi” in cui l’esposizione incompleta è considerata parte del design, come Ghost/Echo sempre di Harper, o in cui è il focus molto definito a consentire la brevità di esposizione, come What is a Role-playing Game? di Epidiah Ravachol). L’impatto visivo è gradevole sullo schermo, ma, poiché i due fogli sono chiaramente destinati ad essere stampati, temo che la scelta del testo bianco su fondo nero non sia stata lungimirante.

Un’impostazione tradizionale

Quando parlo di impostazione “tradizionale” mi riferisco principalmente al gruppo di personaggi alleati fra loro, ciascuno di proprietà di un singolo giocatore, che affrontano una sequenza di “avventure” dal contenuto spesso violento. Aspetti tecnici generalmente collegati alla medesima tradizione, e presenti infatti anche ne La Città di Giuda, sono il ruolo del “game master” che ha il controllo assoluto su tutti i personaggi secondari, gli sfondi, i retroscena, ecc. e gioca anche un ruolo chiave di “arbitro” nelle meccaniche di risoluzione, e la prospettiva di giocare sessioni multiple con i medesimi personaggi, senza un’indicazione a priori di quando il gioco debba concludersi.
“Tradizionale”, per definizione, significa solido, perché ben collaudato; significa anche individuare un implicito target del gioco in coloro che in quella tradizione si riconoscono. Non sono estraneo a questa tradizione: è l’ambiente da cui provengo, e in essa mi sono riconosciuto per molti anni. Ragion per cui mi sento in grado di giudicare gli aspetti più tecnici de La Città di Giuda tenendo conto della fascia di pubblico a cui mi sembra essere rivolto.
L’aderenza ad una tradizione, beninteso, può portarsi appresso anche dei vizi radicati. Nel caso de La Città di Giuda, per esempio, mi colpisce negativamente il ricorrere di espressioni quali “a insindacabile giudizio del Master”… Perché mai occorre specificare “insindacabile”? Se si “spreca” una parola per questo, quando lo spazio sulla pagina è tanto tiranno, secondo me significa che ci si aspetta (come un fatto del tutto normale) una situazione di conflittualità fra i giocatori al tavolo. Personalmente io non credo (non più) che si possa pretendere di giocare in una situazione in cui un giocatore contesta le decisioni di un altro: in un ambiente di gioco “sano”, a mio avviso, tutte le decisioni sono appellabili, ma nessuna viene mai contestata in modo capzioso, perché sussiste una solida unanimità di intenti (senza la quale il gioco di ruolo sarebbe una fatica invece che un piacere).
Ho l’impressione che, come testo, La Città di Giuda sia diviso tra due “anime” che cercano di trascinarlo in direzioni diverse: l’esempio di Apocalypse World e le aspettative della tradizione.

La meridiana delle azioni

La “meridiana delle azioni” costituisce la più appariscente variazione rispetto alle meccaniche di base di Apocalypse World. Si tratta comunque di un metodo per risolvere o indirizzare un conflitto determinando in quale di tre “fasce” (dalla più favorevole alla meno favorevole al personaggio del giocatore che tira i dadi) si collocheranno le conseguenze di una mossa, ma il funzionamento della meridiana promette maggiore character-effectiveness (probabilità che il personaggio “abbia successo”) a quei giocatori che manifestano maggior varietà di modi d’agire.
Una possibile applicazione è in un contesto, come l’ho definito, pienamente “tradizionale” e per certi versi conflittuale, in cui il “successo” nell’azione è ambito, mentre la varietà di descrizione è vissuta come una “fatica” e i giocatori tendono quindi a ripetere sempre le stesse frasi formulaiche. In tal caso, la struttura della meridiana è un incentivo (sicuramente migliore di un “bonus all’interpretazione”) ad escogitare qualcosa di sempre diverso, adeguandosi alle restrizioni che l’attuale posizione sulla meridiana impone. Alla lunga, però, poiché il difetto nel caso in esame sta nella discrepanza di obiettivi estetici fra i giocatori, un meccanismo di gioco non potrà risolverlo davvero e si ricadrà, semplicemente, in un formulario più ampio.
Le modalità d’azione scritte sulle “ore” della meridiana sono dei descrittori vaghi che ricordano “caratteristiche” del personaggio in giochi di ruolo che definirei di formulazione superata: attingono alla visione stereotipata di una persona fratturata in qualità quantificabili, per cui “agire con intelligenza” è cosa distinta dall’agire “con coraggio”… Tuttavia, la rotazione sulla meridiana è comunque un passo avanti evolutivo rispetto ai sistemi di gioco in cui queste qualità erano fissate alla creazione del personaggio, così che il personaggio di un giocatore era premiato se agiva sempre e solo “con intelligenza” e un altro sempre e solo “con coraggio”. Ma le vere potenzialità latenti di un meccanismo come questo sono ben altre, ancora poco sfruttate ne La Città di Giuda…
Una delle modalità d’azione, infatti, è diversa dalle altre: “stregoneria” (sul numero 9). La mia interpretazione è che usare “stregoneria” come modalità d’azione costi sempre e comunque un punto di Dannazione (un prezzo salato). Ed ecco ciò che secondo me è cruciale: le modalità indicate sulla meridiana sono il corrispettivo delle “mosse base” di AW. La scelta autoriale di cosa scrivere in corrispondenza dei vari numeri indirizza e confina le azioni dei personaggi entro limiti che definiscono il “mondo” del gioco, e può anche forzare i giocatori verso scelte importanti e difficili. Questo è un potenziale che mi piacerebbe vedere più consapevolmente utilizzato.
Per prima cosa, però, sarebbe urgente trovare un linguaggio per indicare *quando* fare ricorso alla meridiana. Al momento il testo dice: “Tutte le azioni, compreso colpire un nemico, ucciderlo o metterlo fuori combattimento, vengono eseguite sulla Meridiana”; e “Quando un personaggio compie un’azione, come prima cosa deve dichiarare cosa intende fare e come farlo, scegliendo il valore appropriato sulla Meridiana delle azioni.” La scelta di parole, secondo me, è infelice. Intendere “tutte le azioni” alla lettera sarebbe semplicemente inapplicabile, il che fa di “azione” un termine estremamente ambiguo: io sceglierei di leggerlo come “conflitti”, ma potrebbe parimenti essere inteso come “quando lo dice il master”. In definitiva, davanti a un testo del genere ogni tavolo deve trovare da sé il proprio standard.

Fasi lunari, missioni e preparazione

Anche per quanto riguarda il contenuto delle sessioni ciascun tavolo è lasciato a decidere da sé il proprio standard, e questo rappresenta una lacuna importante. Di momento in momento, il master ha degli obiettivi da porsi (“Dipingi uno scenario fantastico, ma usa il sovrannaturale con parsimonia. Trasmetti un senso di mistero e minaccia.” ), più che avere dei principi cui attenersi per raggiungerli. Più in generale, mi sembra che i tre livelli di “agenda” (obiettivi), “principles” (principi) e mosse dell’MC, propri di Apocalypse World, siano stati a volte rimescolati fra loro nei paragrafi “Scenario”, “Le tue armi” e “I tuoi colpi”: enunciazioni di principio come “Tutti hanno un prezzo” e “Usa il pugno di ferro nel guanto di ferro” non sono ben raggruppate con mosse quali “Inducili in tentazione ” e forse dovrebbero invece trovarsi a un livello intermedio con altri buoni principi come “Sii pronto a cambiare idea e a essere sorpreso. ”
Bello il “calendario lunare”, controparte della meridiana, su cui determinare casualmente per ciascuna sessione di gioco l’influsso e la potenza delle forze del male. Trovo lo spunto affascinante, in particolare per l’esplicita rinuncia al controllo: immaginando me stesso come master del gioco, il lancio del dado per determinare la fase lunare avrebbe per me sia il piacevole valore psicologico di scaricare sul caso la responsabilità per la pericolosità dello scenario, sia il potente valore rituale di affermare il potere immaginario delle forze del male come qualcosa di superiore alla possibilità di controllo dei giocatori tutti, me compreso. Peccato invece che le fasi lunari, poi, si traducano meccanicamente solo in occasionali modificatori negativi sulla risoluzione delle azioni: una parte di me vorrebbe vedere qualcosa di più integrato, le due “ruote” girare insieme come un unico meccanismo. In alternativa, preferirei che la fase della luna non toccasse mai direttamente il meccanismo di risoluzione, ma che invece si riflettesse esclusivamente sul contenuto degli scenari.
Il Pugno di Ferro, di cui i PG per definizione fanno parte, è un’organizzazione studiata apposta per non avere mai problemi di “adventure hook”: al contempo mercenari ai limiti della legalità, ma obbedienti a una gerarchia (“Il prezzo viene concordato con gli ufficiali del Pugno di Ferro e non con i personaggi”) e ammantati dell’aura di un ordine militante che combatte i demoni. Questa caratterizzazione consente al master di mettere i personaggi dei giocatori di fronte a un incarico, qualunque esso sia, perché tali sono gli ordini, applicando la motivazione della lealtà militare anche a missioni che di militare non abbiano nulla. È una soluzione intelligente alle problematiche tradizionalmente associate con il “gruppo di avventurieri”.
Ma rimango con la domanda: queste missioni vanno in qualche modo “preparate”? L’accenno a ricerche “sul web” di “mostri mitologici” mi fa pensare a un master che, qualche tempo prima della sessione, prepara in solitudine degli appunti, con una “missione” che poi assegna ai PG attraverso la gerarchia del Pugno di Ferro. Ma allora, come si preparano? Senza indicazioni su quanto e cosa decidere, scrivere, senza una scaletta, una procedura, resta in bianco una parte centrale del game design, rimettendosi in pratica (come per l’indicazione di quando ricorrere ai dadi) alle tradizioni di gioco già esistenti.
Se è prevista preparazione, oltretutto, questa come si concilia con il calendario lunare? Dovrei tirare il dado per stabilire la fase lunare in anticipo (diciamo, alla fine della sessione precedente) e di conseguenza preparare uno scenario adatto alla fase lunare che verrà (un problema puramente umano, senza interferenza delle forze del male, se è il plenilunio; un diretto attacco demoniaco nel mondo terreno al novilunio)? Oppure dovrei escogitare uno scenario “agnostico” rispetto alla fase lunare, e solo all’inizio della sessione tirare il dado? In quest’ultimo caso, dovrei preparare uno scheletro di scenario che, a seconda della fase lunare, andrà cambiato in corsa in modi specifici. Entrambe le prospettive sono intriganti, ed è anche per questo che mi piacerebbe conoscere la metodologia impiegata dall’autore o dagli autori al loro tavolo, e vederla sintetizzata nei fogli di regole.
Se, viceversa, ci si aspetta che il contenuto del gioco sia interamente improvvisato senza preparazione, allora alle fasi lunari potrebbero corrispondere delle linee guida, dei semi o degli spunti. Forse anche sezioni differenziate nella lista delle mosse del GM, “colpi” speciali disponibili solo sotto una certa luna? Sarebbe anche molto utile avere un punto di partenza: delle linee guida per la prima sessione, per come usarla per dare il via al gioco e improvvisare di conseguenza gli scenari delle sessioni successive. Magari perfino una “prima missione” prefissata, un punto di partenza fisso per tutti i gruppi di gioco, con linee guida su dove la “storia” creata insieme possa poi dirigersi a seconda delle prime scelte fatte dai giocatori.

De brevitate

A molte delle critiche che ho fin qui formulato in questa recensione, evidenziando lacune nel design, si potrebbe tentare di replicare che sono vuoti di esposizione dovuti all’esiguità del testo. Senza dubbio La Città di Giuda si presenta come un “libro” molto piccolo; e invero questo è un gran pregio, perché all’atto pratico i libri vanno letti, ricordati e continuamente consultati come riferimento e tutte queste operazioni diventano più lente e difficili quanto più grande ne è la mole. Tuttavia, a seconda di come si ottimizza la presentazione delle informazioni, lo spazio di quattro pagine può contenerne da poche a moltissime: da questo punto di vista, c’è margine per migliorare, tagliando delle ridondanze e ricavando così lo spazio per comunicare ciò che manca.
La prima facciata occupata da una “scheda del personaggio” è, allo stato attuale, un’occasione mezza sprecata. Le annotazioni a margine dei vari spazi in cui scrivere, infatti, trasmettono già gran parte delle regole d’interesse per il giocatore, e in particolare la quasi totalità dei meccanismi di risoluzione delle azioni. Perché, allora, le stesse regole sono ripetute sul retro della pagina, in forma più discorsiva? Suggerirei di eliminare questa ripetizione, controllando che sulla facciata “scheda” ci sia tutto il necessario, e probabilmente spostando qui (lo spazio per farlo non manca) anche le regole relative all’evoluzione del personaggio (tutto ciò che è punti Esperienza, Fato e soprattutto Dannazione).
Lo spazio così ricavato sul retro del foglio per tutti i giocatori potrebbe essere utilizzato per le informazioni di ambientazione (che non c’è particolare ragione di riservare al GM), e così sul foglio del GM si libererebbe spazio per trattare della preparazione degli scenari e simili questioni irrisolte.

Qualche pizzico di speziato oriente

C’è molto che mi lascia perplesso nel, pur breve, trattamento dell’ambientazione. Forse l’autore o gli autori si sono cimentati nel genere fanta-storico senza fare ricerche adeguate… Fare poche ricerche sarebbe anche veniale nella tempistica di un Game Chef, ma quando si coinvolgono elementi di storia e geografia del mondo reale senza conoscerli bene si rischia di scadere (come qui purtroppo accade) in stereotipi triti ed anche offensivi. Uscire dagli ambiti che meglio si conoscono, quando il tempo per informarsi a fondo manca, è purtroppo un grosso azzardo: si rischia di sprecare gli spunti più interessanti seppellendoli sotto la vergogna di un’esecuzione superficiale, grossolana.
Lo spunto de La Città di Giuda parte da una lettura letterale della storia religiosa cristiana (l’intervento di Gesù per salvare l’umanità tutta dal peccato originale) e qui innesta lo stravolgimento che dà inizio a una storia alternativa: Gesù non risorge dalla morte, e di conseguenza tutto cambia. Da un punto di vista sovrannaturale, non essendo Gesù riuscito a “vincere la morte”, le forze del male rimangono libere di intervenire direttamente nel mondo, anche manifestandosi come mostri e demoni in forma fisica che in questo gioco sono i più temuti antagonisti. Dal punto di vista fanta-storico, invece, è la religione cristiana a non costituirsi, cosa che attraverso una serie di salti logici porterebbe alla situazione etnica e politica descritta nel testo d’ambientazione e in qualche modo anche all’esistenza del Pugno di Ferro.
Parlo di “salti logici” non solo perché l’effettiva e comprovata resurrezione di Gesù non mi sembra premessa storicamente necessaria alla nascita del suo culto, né semplicemente perché mi è poco chiaro come la figura di Giuda “simbolo di una condizione umana destinata a inevitabile dannazione” diventi, con queste premesse, oggetto di “adorazione” (anche se trovo molto suggestiva l’immagine di questo cupo culto dell’impiccato, simboleggiato dall’albero e dal cappio di corda)… Potrei anche chiedermi come, da questa premessa, discenda una maggior violenza degli “eredi del decaduto Impero Romano” nella regione palestinese (“Gerusalemme distrutta negli scontri”), o che l’ebraismo sia stato “estirpato” dalla dominazione romana anziché inglobato come minoranza religiosa; per un attimo mi sono domandato perfino come “misteriosi accenni alla cabala” possano essere sopravvissuti a questo scempio se è vero che, come ricordo, la cabala è uno sviluppo medievale dell’ebraismo e quindi in epoca romana non esisteva ancora. Ma no, non sono uno storico del Vicino Oriente antico (sono uno storico del cosiddetto “Estremo Oriente”) e non mi fisserò su nessuno di questi punti pretendendo d’aver ragione: non senza prima aver fatto ricerche specifiche. Licenza d’artista è licenza d’artista, oltretutto, e qui siamo dichiaratamente di fronte a un “fantasy”. Quello che mi cruccia è ben altro, invece, e non penso occorra una laurea in Storia per accorgersene…
La vera domanda è, se mai: date queste premesse, da dove salta fuori un PG biondo di nome Federico? Visto che le “invasioni barbariche” non sono un evento del passato, ma sono ancora in corso, e visto che i “Selvaggi” provenienti dal nord in questo gioco hanno una caratterizzazione del tutto a-storica, non si capisce allora da dove gli abitanti della Città di Giuda “discendenti dai romani” abbiano preso la loro “pelle più chiara”, tratti come “capelli biondi” o “occhi chiari”, e i loro nomi franco-germanici (tutti i nomi d’esempio nella relativa lista tranne “Gaia”, che è latino). Per contro, i “Locali”, di cui si evidenzia il retaggio “semitico”, sono caratterizzati esclusivamente con stereotipi razzisti come “pelle olivastra”, “naso appuntito”, “superstizioni” e “una speziata saggezza mediorientale”… Una **speziata** saggezza mediorientale?! Come dicono i giovani d’oggi: FACEPALM.
I nomi franco-germanici non sono spiegabili, punto. Il colore della pelle, purtroppo, sì, ma preferirei il contrario. L’autore o gli autori del gioco stanno evidentemente aderendo ad una dottrina hollywoodiana delle “razze” per cui i “romani” erano “bianchi” (non sono forse gli antenati diretti dei “bianchi” europei?), e non, come vorrebbe il buonsenso, dello stesso “colore” di tutti gli altri abitanti del bacino del Mediterraneo. Simili fandonie hanno implicazioni politiche non trascurabili quando le racconta Hollywood, ma hanno anche altre, gravi implicazioni politiche quando ce le raccontiamo noi italiani, perché la convinzione di “discendere” in qualche misura dai romani è profondamente radicata nella nostra cultura popolare, non un’esclusiva della retorica fascista. Immaginarci un impero romano di uomini “bianchi” che colonizza o invade una Palestina abitata da persone “olivastre” per noi italiani non è un errore “neutrale”, perché corrisponde a un immaginario razzista tuttora strumentalizzato nel discorso politico (per esempio dalla Lega): l’idea che “noi siamo bianchi”, mentre “altri”, provenienti da oltre un confine arbitrario tracciato a Sud di dove stiamo “noi”, “sono negri”. Attenzione, quindi.
Per di più, forse l’autore o gli autori non si rendono conto (diciamo che spero non se ne rendano conto) di altre possibili implicazioni politiche delle loro scelte di nomenclatura. Storicamente l’associazione con la figura di Giuda è stata utilizzata nell’Europa cristiana per vilificare, simbolicamente, la minoranza ebraica; in questa ambientazione, invece, in cui Giuda viene in qualche modo riscattato (sia pure come simbolo di ogni sfiga, ecc. ecc.) il nome “Uomini di Giuda” non appartiene ai “locali”, ai “semiti”, ma a “bianchi” europei biondi con nomi germanici. “La dominazione romana ha estirpato l’antico ebraismo ”, dice il testo: sembra che l’abbia estirpato così a fondo da annullare ogni possibile identità ebraica, spargendo un po’ di sale sulle rovine bruciate per buona misura. Ci restano solo dei “Locali”, popolazioni di etnia “semitica” ma a cui non sembra necessario dare un vero e proprio nome.
Poi ci sono i “Selvaggi”… Perché non “barbari”, che almeno è termine comunemente usato nella storiografia tradizionale? Tanto, il testo contiene comunque tutti e tre gli altri ingredienti: un termine intrinsecamente offensivo come “selvaggi” rivolto ad una popolazione umana ce lo si poteva risparmiare. Qui, comunque, la faccenda si fa ancora più confusa, perché è impossibile individuare un corrispettivo storico per queste genti. Fanno le veci degli invasori dell’impero romano (storiella forse un po’ datata, ma è come ce l’hanno insegnata a scuola), ma non possono essere popoli germanici, visto che i discendenti di Roma in questa ambientazione hanno *già* nomi e tratti fisici germanici, che denotano un mescolamento già avvenuto. “Sono calati dal nord”, colpendo tutte le vestigia dell’antico impero (diamo pure per scontato che, senza il cristianesimo, con ci siano stati neppure un Costantino, un trasferimento della capitale in Grecia e un Impero Romano d’Oriente). La loro caratterizzazione esteriore è uno stereotipo razzista del popolo “fiero e primitivo”; cito: “alto, possente, imponente, capelli lunghi, lunghe trecce, occhi spiritati, pitture tribali (sic), tatuaggi rituali.” Non se ne specifica il “colore”, ma potrebbero essere tanto celti quanto apache quanto i cimmeri di R. E. Howard. Di sicuro i loro nomi (“Rumore di Tuono, Sole Splendente, Scintilla di Fuoco, Fratello dei Lupi, Miraggio Ingannevole”) sono quelli degli “indiani” di qualche vecchio film western. L’ambientazione li propone come una minaccia esterna che costringe le altre due etnie a collaborare, ma è chiaro (dai nomi e dai tratti appena riportati) che agli autori piacciono, non sono dei “cattivi”: e infatti il Pugno di Ferro, giusto per far vedere quant’è cosmopolita e trasgressivo, li accoglie nelle proprie fila, rendendo disponibili i “Selvaggi” come terza e “strafiga” opzione nella creazione dei PG.
L’ambientazione promette di essere una versione fantasy di Gerusalemme medievale e del Levante, insomma, ma per come viene trattata disattende completamente le aspettative. Il mio consiglio agli autori è di ripartire da zero: magari di ambientare *per davvero* il gioco a Gerusalemme e dintorni nel Medio Evo, con le opportune ricerche. Forse nel complesso mosaico sociopolitico dei regni crociati. E in questa ambientazione potrebbero agevolmente riutilizzare il comodo espediente del Pugno di Ferro… Potrebbe trattarsi, per esempio, di un’armata mercenaria che raccoglie guerrieri di tutte le fedi (cristiani, musulmani, ebrei, ecc.) sotto la missione comune del combattere il male incarnato sempre e comunque dalla stregoneria e dalle creature sovrannaturali; una sorta di Legione Straniera di cacciatori di mostri. In una simile ambientazione, più vicina alla realtà storica, non sarebbe comunque un problema recuperare un’idea “di colore” come il culto di Giuda pentito e suicida (potrebbe essere una dottrina interna al Pugno di Ferro, o esistere come organizzazione separata) o come la mancata resurrezione di Cristo quale giustificazione del potere demoniaco (checché ne pensino, all’interno della fiction, i personaggi delle varie fedi).
Mi auguro, insomma, di vedere presto una seconda versione di questo gioco, in cui ci si sarà sbarazzati degli stereotipi razzisti.

Tuesday, December 3, 2013

State of the Platonic Duck (lo stato della papera)

[ITA] Un paio di giorni fa ho pubblicato una nuova versione de La casetta di marzapane, che considero il mio miglior gioco fino a oggi. A essere sinceri, questa release non ha ricevuto il proofreading rigoroso che avrebbe dovuto, perché ho voluto che uscisse assolutamente entro novembre; ma ciò sarà fatto nei prossimi giorni e, se salteranno fuori degli errori, una nuova versione corretta sarà immediatamente messa online a rimpiazzarla (gratuitamente, s'intende). Mi riferisco a errori di battitura o di impaginazione, beninteso, perché la struttura del gioco è, a questo punto, ben collaudata. Seguiranno a ruota anche altri formati del file.
Nel giro di poche ore da quest'uscita ho finalmente raggiunto il sudato "traguardo" dei 60 dollari… Questo mese, dunque, pubblicherò come promesso la traduzione italiana di Enter the Avenger. Dopodiché, dovrò finalmente fare qualcosa anche per quelli fra i miei sostenitori paganti che l'italiano non lo leggono: in aggiunta a EtA italiano, quindi, ho in programma di far uscire almeno una novità in lingua inglese entro Dicembre. Una traduzione inglese de La casetta di marzapane è ovviamente una priorità, ma è appena partito anche un altro progetto più piccolo che potrebbe essere completato prima (e di cui non dico altro per non guastarvi la sorpresa).

[ENG] A couple days ago I released a new version of La casetta di marzapane, which I believe to be my best game to date. It's still in Italian only, but an English translation (tentatively titled Little Candy House) is high in my priorities: expect it this month or the next.
Within a few hours from released, I also hit my 60$ funding milestone (at last!) which means I'm now duty-bound to translate Enter the Avenger to Italian. Considering that particular translation is currently one-quarter-done as I'm writing this post, my non-Italian-proficient supporters might be stuck with two Italian-language release in a row, for which I apologize. I promise I will release at least one English-language product this month — either the aforesaid translation of La casetta di marzapane or something else sweet I have in the works (possibly even both).

Sunday, July 1, 2012

"Dungeon World", my own way

So, Dungeon World is, basically, using the rules from Apocalypse World to recreate the world of Dungeons & Dragons, right? Then, if I designed Dungeon World, here's what the playbooks would be:
  • The Adventurer — you go dungeon-delving for fame and fortune; the exact way you kill monsters (sword-fighting, spell-casting, arrow-shooting, god-invoking, back-stabbing, shape-shifting, kung-fu, etc.) depends on the options you take from the playbook.
  • The First-leveler — you're young and eager and you wish you were as cool as the Adventurer: survive long enough and that may happen.
  • The Leader — of an adventuring party (a small, but very powerful, gang).
  • The Henchman (not gender-exclusive: you can be a henchwoman, henchqueerperson, etc.) — you earn your living by being around adventurers a lot.
  • The Mayor — could be a council leader, town elder or whatever, and they're sort of like the Hardholder, in that they're responsible for a town and her citizens, probably with a militia to wield for that purpose.
  • The Baron — you control land and a manor, possibly an actual castle, and lead an armed gang of violent people; also Hardholder-ish, but compared with the Mayor you've got different responsibilities and loyalties.
  • The Merchant — a barkeeper, innkeeper or shopkeeper, possibly a craftsman like a weaponsmith, you've got an establishment sort of like a Maestro'D's.
  • The Thief — comes with a guild, but with no warrant that the guild is their friend.
  • The Wizard — not your average adventuring wizard (we've got that covered already), but the kind of wizard who owns a wizard's tower; optionally, your tower may include a dungeon.
  • The Sellsword — you fight for coin and kill for a living; maybe you've got your own mercenary gang of which you're the captain, or maybe you're a solitary assassin from some dark cult.
And here's a basic move:
When you go adventuring in a dungeon with your brave fellows, roll +a currently highlighted stat. On a 10+ choose 3, on a 7-9 choose 2:
  • you are not wounded
  • you didn't use up rare or valuable provisions (such as magic item charges, a potion…)
  • you didn't give your adventuring fellows +1Hx with you
  • you got a rich loot
  • you got an even richer loot
  • you gained a useful magic item
  • you gained a powerful magic item
  • you gained a permanent magic item
  • bards are singing of your deeds
On a failure, you are stymied during your adventure, and the MC will zoom in to that situation, showing you being cornered, embattled, imprisoned, hunted, perplexed by a puzzle, or worse.

— § —

Now, the serious part. Please, don't think that the point of the above is to slander the real DW for not focusing on the aspects of D&D (or AW) that I right in this moment I'm thinking are more funny. Rather, I meant to illustrate a point I recently made on Lumpley's blog concerning player-vs-player conflicts in AW. Well, or maybe the joke pulled my leg and it became an end in itself.

Tuesday, August 9, 2011

Behold an awesome, awesome human being!


The awesome human being in question being Levi Kornelsen, who single-handedly and sorta-understatedly begun a feat worthy of a hero of the ages to come, deserving a huge badge of awesomeness.

Levi is developing a fantasy role-playing game, Awen, built on the bones of his long-time-in-development project "The Exchange", plus a set of new ideas he more recently came up with about "world creation" being a consequence of character creation, etc. Something like the latter is found in Apocalypse World, sure, but way less formalized, and Levi may well be the first after Vincent Baker to implement new tools toward that end, in a time when everybody seems content with making Apocalypse World hacks. But this is only half the story…

Like so many of us these days, Levi is running a crowd-funding campaign to fund the development of the game (in other words, to at least partially re-pay himself and/or any helpers of the hours spent working on the project). The big deal is: Awen will be released into the Public Domain as soon as it's completed. Thus, by pitching in your five or ten dollars you're not "buying a game", you're helping make a game for everyone in the world who may want to play it. And you're making a gift today to all of the friends you will ever want to play the game with, or pitch the game to — including those friends you haven't yet met.
Way to make Levi climb to the top of my personal chart of awesomeness.


Please, join in. Everybody who's reading this, please chip in the five bucks if you have those, but especially, please, tell all of your friends, and tell them to tell their friends — you know how that works.
My expectations regarding the game as a game are high enough, really, but even if they weren't I'd still be urging all of you to help Levi out. Because we're living on the edge of something huge. As small as it may look now, Levi is (marching in the front line and taking the risks) trying out a new model for artistic work: one more sustainable, more civilized than the rotting and rotten one we have today. I really think supporting Awen means to support change for the best, if just in this small, small world of ours which is role-playing games.
Thank you.

Thursday, August 26, 2010