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Wednesday, February 3, 2010

Basta con la TVAmerica!

Due settimane or sono, nell'ambito della manifestazione CON-VIViO organizzata a Monza da La Chiave di Giano, nell'arco di due giorni partecipo:
  • al live Anger Control di Stefano Padovan (A.L.T.), che come situazione iniziale ha una seduta di terapia di gruppo. A Los Angeles.
  • a una "demo" della campagna live Lucciole e Lanterne del gruppo Bergamo di Mezzo, unico evento che non rientra nel discorso che sto facendo - anche perché era essenzialmente uno scenario fantasy.
  • all'ottimo Love is Blue di Fabrizio Bonifacio (che già conoscevo e di cui sono un sostenitore), piccolo capolavoro di suspense che utilizza (molto bene) i classici temi cinematografici del serial killer folle e del "gioco mortale", ma ponendo i giocatori in maniera molto convincente nel punto di vista delle vittime - persone normali la cui vita viene improvvisamente stravolta. Ambientazione? Da qualche parte in America.
  • al magnifico Dubbio (Doubt), di cui anzi mi sono ritrovato in maniera imprevista a essere il "regista" (per la seconda volta nella mia vita, e sempre con grande piacere). Si tratta dell'edizione italiana di un gioco i cui autori sono svedesi. I personaggi principali si chiamano Tom, Julia, Peter e Nicole. (*)
Aggiungo che avevo in programma (ma la cosa è poi saltata per il - prevedibile - dilungarsi di Dubbio) di partecipare al live Sturm und Drang, creato internamente a La Chiave di Giano: un live tutto incentrato sui profondi drammi interiori dei molti personaggi e ambientato, come ho poi scoperto, nei non-luoghi della estrema provincia statunitense come visti in film quali Clerks.

Are you sensing a pattern here? Well, I am.

Non vedo perché "l'ambientazione di default" per i giochi di produzione italiana, giocati in Italia, quando non è fantasy debba essere "l'America". In particolare perché "l'America" rischia di risultare essa stessa un mondo di fantasia: per la maggior parte di noi è l'ambientazione dei film di Hollywood, qualcosa di visto in TV, un mondo conosciuto solo attraverso opere di fiction... non la vita vera.
E questo è un difetto di design.
Se abbiamo la volontà di "mettere in gioco" problemi reali, di far provare ai giocatori esperienze anche estreme, ma di persone vere... Oppure, se vogliamo partire da questo senso di realtà anche solo per poi appositamente stravolgerlo, come accade spesso nei giochi horror o nei thriller... allora, l'utilizzo della pseudo-America come "setting" è un errore di design. Significa introdurre un ulteriore filtro tra giocatori e gioco (come se ce ne fosse in qualche modo bisogno!): il filtro di un mondo praticamente fantasy, appunto, perché esperito solo mediante fiction. Un appiglio in più per giocare "safe", se si vuole, ma non certo una spinta in più a mettersi intimamente in gioco.

* Dubbio, se si vuole, ha anche una giustificazione, nel fatto di essere "l'edizione internazionale" di un gioco svedese. Va riconosciuto che proprio l'editore NarratTiva, là dove era veramente indispensabile al funzionamento del gioco -- e cioè con Sporchi Segreti/Dirty Secrets -- ha osato un adattamento che non fosse semplice traduzione linguistica, "italianizzando" il gioco come infatti si doveva. Ma la prossima volta che giocherò a Dubbio voglio provare, sinceramente, a cambiare i nomi dei personaggi con versioni italiane. Basterà questo a togliere i giocatori-attori dall'imbarazzo (sempre palpabile) di non poter dichiarare alcunché di geograficamente connotato poiché non sono in alcun luogo, come in certi vecchi adattamenti televisivi Mediaset di serie animate giapponesi?

Thursday, December 17, 2009

Perché non mi piace dire "New Wave"

Premessa: l'espressione "New Wave" è un artefatto della discussione internettiana in Italia, coniata per designare "tutti i gdr diversi da Parpuzio", dove "Parpuzio" è un (fortunatissimo) termine escogitato dal diabolico Moreno Roncucci per indicare quell'unico gioco che tutti abbiamo giocato per anni e anni sotto diversi nomi autoconvincendoci che si trattasse di più gdr diversi (e/o che si trattasse dell'unico gdr possibile, o che le sue regole coincidessero con la definizione stessa di "gdr"). Già da tempo, io sto attivamente evitando di usare tale espressione.

Mi rifiuto di parlare di "New Wave"...

Mi rifiuto di parlare di "New Wave" perché ciò fa immaginare, a torto, che sia esistita una "old wave". E, poiché il vecchio ha, in assenza d'altre indicazioni, dignità pari al nuovo, ecco che la magia della dialettica spacca il cielo in due parti: in insiemi apparentemente equivalenti, di pari peso e infine di pari dignità. Il che, per chi è informato della realtà dei fatti, è semplicemente ridicolo ‒ talmente stupido da non poter neppure essere preso in considerazione.
Gli automatismi del discorso ci faranno sempre immaginare due insiemi contrapposti come equivalenti, e così ghettizzandoci da noi stessi dentro un'espressione come "New Wave" siamo proprio noi a creare una "old wave", una fazione del "gioco tradizionale", investendola di una dignità cui razionalmente non avrebbe diritto: di fronte a un singolo e tracotante gioco che dovremmo, non dico lasciare sulla strada, ma incorniciare serenamente in un museo della nostra storia passata attendendo che sia abbastanza invecchiato da poterlo, forse, prendere in considerazione solo per un fugace e raro atto di retro-gaming... di fronte al vecchiume di cui siamo stati schiavi e di cui dovremmo essere stanchi, noi invece legittimiamo una fazione di disinformati, di polemici, di giocatori soltanto di nome ad autoproclamarsi nostri eguali e opposti, e trascinare quindi all'infinito un "dialogo" attorno al nulla. Dove invece non c'è dialettica possibile, se una delle "fazioni" coincide con il "quasi tutto" mentre l'altra incarna il "pressoché niente", la più desolata e desolante assenza di contenuti (fosse anche di un vuoto maieutico e stimolante).
"Ma quale niù ueiv", dovremmo dire: "noi ci interessiamo ai giochi di ruolo. E voi, invece, chi cazzo siete? Nessuno."

Somiglia, fin troppo, a un qualsiasi presunto "discorso" politico tra "destra" e "sinistra", anzi, tra "conservatori" e "progressisti". Perché "progressisti" dovrebbe significare: sostenitori dei diritti umani, contrari alle discriminazioni, laici, scientifici, razionali, ecologisti... una sorta di summa di tutti i possibili valori positivi, roba che osteggiarli, essere contro, dovrebbe esser visto come un crimine contro l'umanità. E invece, tutto questo viene chiamato "sinistra": come a dire che le simmetriche posizioni oscurantiste, demagogiche, irrazionali, poliziesche, utilitaristiche e personaliste, lobbistiche, hanno una eguale dignità come "destra". Ma il delirio di questo non-ragionamento abbiamo ben poca difficoltà a ignorarlo, a dimenticarlo di proposito, visto che il "discorso" politico noi siamo soliti farlo solo per negazioni: compare un giorno un signore che dice "votate per me perché non sono di sinistra" e vediamo allora la nostra presunta "sinistra" ridurre la propria identità politica al "noi siamo anti-Berlusconiani". Ed ecco che ogni possibilità di un discorso politico è stata ridotta a lanciarsi slogan ed epiteti tra curva e curva di uno stadio, con al centro la faccia e il nome di una singola persona (che non costituiscono certo un oggetto politico!), insomma a un non-dialogo attorno al puro niente.

Lo stesso accade nel discorso internettiano italiano attorno al gdr: si dice "New Wave" e si appiattisce tutto ciò che c'è di buono e di giusto, anzi, ogni possibile contenuto all'interno del semplice "non essere Parpuzio"... e così siamo proprio noi a costruire a questo nano nietzschiano, "Parpuzio", i tacchi rialzati su cui elevarsi come un gigante di cartapesta a minacciare da eguale a eguale il tutto, soffocando ogni potenziale dialogo col suono infantile del suo organetto.

Sunday, May 3, 2009

La pressione a sentirsi "autore"

Questo nostro piccolo mondo di praticanti del gdr in Italia è irrimediabilmente intriso di questa fortissima "ambizione d'autorialità".
Son qui che penso all'imminente AmberCon (ovvero la convention "del" Flying Circus, al di là delle peripezie storiche del nome, che quest'anno si svolgerà all'interno di Este in Gioco), e mi tormento pensando di dover assolutamente inserire nel palinsesto un "EVENTO MIO" - qualsiasi cosa ciò significhi, in fin dei conti. Tutti i progetti iniziati, magari da anni, e non ancora compiuti, sento una specie di obbligo morale a ultimarli e playtestarli proprio entro le prossime 3 settimane, onde poterli poi offrire in quel di Este a folle oceaniche di fan adoranti...
Lo pseudo-Braunstein che ho fatto fioretto di realizzare, prima o poi? Nel mio delirio autoindotto, già m'immagino a scriverlo interamente durante il volo intercontinentale Malpensa-Narita e relativo ritorno, per poi ritrovarmi esattamente due giorni dopo a proporlo al pubblico di una convention. Il che significherebbe, per dirne una (a parte la piccola ineleganza di presentarmi con un gioco mai playtestato, e a parte l'usuale stupidità di inserire in un palinsesto un evento non ancora scritto), proporre al pubblico un mucchio di schede del personaggio scritte a mano, nella "chiarissima" grafia per cui sono famoso. O magari comprarmi un portatile appositamente per questo?

Un evento MMMIO...!!!


E che cosa cazzo sarebbe, "un evento mio"?!

Semplicemente, è un retaggio. Un retaggio di quel "Master" con l'iniziale maiuscola che è contemporaneamente scrittore del dramma, regista della sua messa in scena, e forse anche interprete di più d'uno dei personaggi principali. Il master-intrattenitore, la cara vecchia scimmietta danzante, che si nobilita dicendosi "autore". Ma la sua vita è dura, povera bestia, e deve pur togliersi qualche soddisfazione, no?
È un retaggio di una gran parte della mia storia personale, che è difficile scrollarsi di dosso tutto d'un tratto. L'ultimo strisciante rantolo di quel me stesso che credevo sepolto da molti anni, il master "che gli avrebbe fatto schifo usare un'avventura preconfezionata". Certo... Quando non s'aveva un cazzo di cui vantarsi - né abilità né esperienza, né umiltà né palle - s'aveva orgoglio: abbastanza da riempirne una cisterna, o due.
Nei miei amici del Flying Circus, come anche in altra gente che fa live d'un certo valore - in gran parte della parte meglio del gdr italiano, insomma - la tendenza di cui sopra assume forme di gran lunga meno tumorali, che sento di commettere un'ingiustizia a paragonare a quelle del teenager (anagrafico oppure onorario) il quale conta sul tavolo da gioco come propria unica fonte di prestigio micro-sociale... eppure persiste. Persiste in forme intellettualmente tollerabili, ma insidiosamente pervicaci; e si nasconde, più di tutto, nella nostra ambizione mai del tutto sopita a sentirci autori. Ci arroghiamo le forme, allora, dell'essere autori di libri o d'altro: officiamo il sacro rito di scrivere il nostro nome sopra o sotto un titolo. E, con ogni volta che lo facciamo, un po' rischiamo di mortificare l'oggetto del nostro amore (il gdr, intendo): di svilirlo a calco d'altri più vecchi mezzi d'espressione.
Un game-designer e un teorico del gdr del calibro di Ron Edwards ci rammenta, fra le pagine di Spione, che i partecipanti a una sessione di Story Now sono tutti e in egual misura co-autori. Da un differente percorso arriva a conclusioni simili, nel suo Vademecum dello Stile Carsico, Andrea Castellani - che stimo come una delle menti più brillanti del live italiano, pur se rifiuta per la propria attività la categorizzazione di "gioco": i partecipanti al LARP sono co-autori di qualcosa, e l'organizzatore non è "più autore degli altri". Mi colpiscono ancora di più le conclusioni di Andrea quando penso all'assoluta preminenza, nel percorso che ve l'ha condotto, di quella struttura "a schede dei personaggi" che (più spesso che no) può consistere in una storia già scritta servita sbriciolata, con la "riuscita" del live che allora si misura sull'aderenza al copione non-del-tutto-scritto depositato in una singola testa. (Per conto mio, invece, io mi sono da tempo convinto che anche in quei casi un "personaggio" non esiste, non nasce, finché la sua "scheda" di carta non incontra la persona intera di un giocatore.)

No, questa volta alla AmberCon di Este io porterò eventi "miei" in tutt'altro senso: le mie scelte, giochi che mi piacciono di designer che ammiro, e cose che nessun altro avrebbe altrimenti pensato di portare. Avrò cura, soltanto, di scegliere giochi che per struttura ritengo capaci di offrire un'esperienza completa (la loro esperienza, vasta o limitata che sia) entro i tempi che mi sono dati. Non farò "demo", insomma: non nel senso di assaggi di gioco in pillole. (Ammetto, tuttavia, che le partite "demo" fatte recentemente a InterNosCon sono state per me soddisfacenti oltre ogni mia più ottimistica aspettativa.)