Tuesday, June 3, 2014

[Commenti Game Chef] Viaggio nelle Terre Selvagge, di Davide Cavalli


Altra recensione per il Game Chef 2014 sezione italiana: questa volta tratterò di “Viaggio nelle Terre Selvagge”, di Davide Cavalli. Premetto che non conosco l’autore (ho sentito il suo nome per la prima volta in questa circostanza) e che ciò mi fa decisamente piacere: per chi, come me, è nell’ambiente da tanti anni, riuscire ancora a incontrare persone nuove è un segno di vitalità della “scena”.

Quel che c’è

“Viaggio nelle Terre Selvagge” si presenta come un semplice prototipo costituito da due mazzi di carte e da un tabellone; su quest’ultimo sono scritti anche il titolo del gioco, la didascalia «Racconti, paesaggi ed emozioni di viaggi fantastici attraverso le terre selvagge, verso luoghi leggendari e misteriosi» e, in un angolo, alcune regole. Il tabellone è strutturato come una semplice griglia su cui disporre le carte, con frecce che connettono i riquadri (indicando i possibili “percorsi”), quattro punti di partenza contrassegnati come tali (che sottintendono quattro giocatori) e due punti d’arrivo caratterizzati solo da nomi suggestivi.
In sostanza, è chiaro che l’autore ha voluto interpretare il tema “il libro non esiste” come una riduzione al minimo del testo d’istruzioni, ricorrendo invece a mezzi non verbali per comunicare le regole e la dinamica di gioco. Per riuscire in questo, ha fatto affidamento sul vocabolario visivo dei giochi da tavola: quindi, gli spazi della stessa forma e misura delle carte suggeriscono di collocare delle carte in quegli spazi, le frecce che connettono i riquadri suggeriscono un percorso da compiere con le pedine (segnale, quest’ultimo, rafforzato dal tema del “viaggio” annunciato nel titolo) e la funzione del tabellone e degli altri componenti, quindi, appare immediatamente evidente. A mio avviso, questa operazione (l’uso del vocabolario visivo del boardgame per comunicare con immediatezza i meccanismi del gioco) ha avuto successo, ed è dove “Viaggio nelle Terre Selvagge” mi appare più riuscito, sebbene molto ancora possa essere migliorato.
Per quanto riguarda il contenuto, è chiaro dal testo delle carte, e proclamato con vigore nel sottotitolo, che il gioco vuol trattare di temi a me cari, generalmente poco sviluppati nel gioco di ruolo: il viaggio come esperienza del mondo, il paesaggio come protagonista di piena dignità, i sentimenti del viaggiatore, e così via. «[…] Avendo sempre cura di descrivere il paesaggio» non è una raccomandazione che ho incontrato spesso, fino ad oggi: in questo caso, invece, sospetto che non rappresenti un semplice dettaglio, ma invece sia per certi versi il fine del gioco.
E tutto si conclude infatti con una scelta emotiva: «Descrivi il paesaggio che vedi oltre la tua meta e decidi se narrare l’epilogo o se riprendere il viaggio», che è una maniera secondo me splendida di portare a conclusione il gioco.

Quel che manca

Manca una definizione dell’ambientazione, sebbene almeno in parte questo possa essere voluto: al di là di ciò che è suggerito dal titolo e dalle carte, si vuole forse che i giocatori inventino a ruota libera. Ma il “foglio bianco” raramente è un pregio. “Terre Selvagge” mi suona come un termine ricorrente di certa letteratura fantasy, da Tolkien in poi, con cui si indicano luoghi non necessariamente disabitati, ma sicuramente pericolosi, che necessitano di essere attraversati per raggiungere una determinata meta: luoghi in cui personaggi provenienti da un altrove “civilizzato” possono vivere delle avventure, in una concezione che mi è sempre sembrata una sorta di mescolanza fra lo “hic sunt leones” di un’antica carta geografica ed il punto di vista sul mondo extra-europeo dell’Inghilterra imperiale e coloniale. Alcuni dei testi delle carte rafforzano la mia impressione che il gioco voglia essere un “fantasy”. In un prototipo più avanzato, probabilmente, ci sarebbero illustrazioni o almeno elementi grafici ad aggiungere ulteriori suggerimenti.
Allo stato attuale, però, l’indeterminatezza dell’ambientazione si traduce nella mancanza di un punto di partenza. Immagino avrei difficoltà a seguire l’istruzione riportata sulle caselle di partenza: «Prima di cominciare descrivi le prime emozioni che provi mettendoti in viaggio.» Mi viene offerto un foglio completamente bianco, chiedendomi di disegnare qualunque cosa. Con il rischio, oltretutto, di creare qualcosa che poi avrò difficoltà a riconciliare con gli input che mi verranno dalle carte. Dare ai giocatori, in questa fase iniziale, un qualunque tipo di “seme” da cui elaborare la renderebbe una partenza più agevole.
Questo punto di partenza potrebbe essere, ma al momento non è, la definizione di un personaggio. «Prima di cominciare descrivi le prime emozioni che provi mettendoti in viaggio»: ci si rivolge direttamente al giocatore? A un personaggio attraverso il tramite del giocatore? Al giocatore attraverso l’alibi di un personaggio? Trovare il modo di chiarire questo aspetto potrebbe risolvere le due mancanze di cui sopra, e lo si potrebbe fare – nello spirito di come è stato presentato il gioco – anche senza far ricorso ad aggiunte testuali, ma mediante la componentistica. Per esempio con pedine individualizzate che rappresentino dei personaggi, o un piccolo mazzo di carte con ritratti di personaggi, corredati o meno da frammenti di testo o nomi. In assenza di simili ritrovati, esiste la possibilità (e non sono in grado di determinare se questo è proprio ciò che l’autore vuole, o se preferirebbe evitarlo) di affrontare il gioco senza alibi, trattando la pedina sul tabellone come puro avatar del giocatore che viaggia attraverso un mondo fantastico.
Manca anche l’indicazione di uno scopo: c’è solo una destinazione. L’indizio più forte di un obiettivo del gioco sta in quelle parole scritte sulle due caselle finali: «Descrivi il paesaggio che vedi oltre la tua meta e decidi se narrare l’epilogo o se riprendere il viaggio». Poiché la domanda iniziale riguardava le “emozioni”, probabilmente anche questa scelta finale ci si aspetta sia emotiva. Lo scopo del gioco, allora, sarebbe tener traccia del mutevole stato emotivo del personaggio (o del giocatore) attraverso il viaggio, in modo da avere, giunti all’ultima casella, degli elementi su cui basarsi per effettuare la scelta finale. Se questo è lo scopo del gioco, lo trovo estremamente affascinante, ma credo si debbano riempire almeno alcune delle mancanze fin qui elencate perché tale scopo possa effettivamente realizzarsi.
Quelle che ho elencato finora sono comunque mancanze veniali: vuoti di comunicazione, ma non necessariamente di design. Probabilmente l’autore ha queste cose ben chiare nella propria mente, ed è in grado di comunicarle oralmente ai giocatori, il che è sufficiente in questo primo stadio di sviluppo per iniziare a playtestare. Purtroppo, però, manca anche un meccanismo di feedback interno al design del gioco: qualcosa per cui il contenuto di ciò che i giocatori narrano possa ripercuotersi sui meccanismi di pedine e carte. Questo è ciò che rende “Viaggio nelle Terre Selvagge”, allo stato attuale, un design piuttosto debole.
Meccanicamente parlando, infatti, tutte le pedine continueranno a muoversi sempre alla stessa velocità, e a ogni giocatore viene offerta una ed una sola scelta (relativamente) significativa per turno di gioco: muoversi verso nord-est o verso nord-ovest. In alcuni turni, il contenuto di una carta o l’intervento di un altro giocatore o semplicemente la forma del tabellone toglieranno al giocatore anche questa scelta, e in tal modo un giocatore che aveva dichiarato di dirigersi verso la Falce del Fiume potrebbe terminare il gioco sulla Torre Splendente, o viceversa: ma ciò dipende fondamentalmente dal caso. Se per assurdo si omettessero tutte le descrizioni e le scenette, le pedine si muoverebbero esattamente allo stesso modo. Viaggiare da soli o insieme ad altri giocatori sembra essenzialmente ininfluente, nonostante diverse carte cerchino di forzare in un senso o nell’altro proprio questa scelta. Le varie scene che carte luogo e carte avvenimento incoraggiano i giocatori a narrare rimangono fine a se stesse: i compagni di viaggio introdotti da alcune carte sono solo dettagli di colore, ad esempio, mentre gli oggetti “che torneranno utili” sono di una futilità quasi frustrante, visto che in realtà nel gioco non ci sono né problemi da risolvere né alcun tipo di conflitti. L’unica cosa importante (se ho indovinato correttamente lo scopo del gioco) è come il personaggio del giocatore potrebbe reagire *interiormente* alle scenette narrate, cambiando i propri sentimenti rispetto al viaggio: le carte più significative, perciò, sono quelle che portano a dialoghi tra viaggiatori e a caratterizzare in qualche modo le due caselle di destinazione.
Ad ogni modo, per le ragioni appena dette, mancano dei criteri secondo cui effettuare scelte durante il gioco. Perché mai dovrei interrompere un altro giocatore usando una carta avvenimento? E perché mai *non* dovrei interromperlo? Perché andare a est invece che ad ovest? In fin dei conti, che cosa cambia? In ogni caso, reciterò o narrerò delle scenette, assisterò a delle scenette, e dopo un certo numero di turni arriverò ad una meta: a quel punto, ripensando a quel che abbiamo raccontato finora, deciderò liberamente il mio finale.
Le “mancanze” di comunicazione possono facilmente essere riempite, quindi, ma per completare davvero il design occorre che l’autore si domandi in base a quali ragionamenti desidera che i giocatori giochino o non giochino carte, si spostino verso est o verso ovest. Di conseguenza, dovrà mettere a punto i meccanismi del gioco in maniera che supportino quelle motivazioni. Fatto questo, e aggiunta una maggiore comunicazione su quale sia il “punto di partenza”, il “fine” del gioco potrebbe anche rimanere implicito (una proprietà emergente).

Quel che si potrebbe spostare

Le istruzioni scritte sul tabellone, in realtà, non sono molto comode. Potrebbero essere ripetute nei quattro angoli del tabellone, o stampate invece su una “carta istruzioni” da dare a ogni giocatore. Potrebbero essere ulteriormente abbreviate, forse suddivise. Se, per esempio, si adottassero delle “carte personaggi”, le istruzioni di setup (punti da 1 a 5) potrebbero essere scritte sul retro di queste carte, mentre le istruzioni 6 e 7 sul tabellone o meglio ancora su un “segnaturno” che passi di mano in mano per indicare a chi tocca muovere.
Alcune istruzioni specifiche potrebbero essere tolte dalle regole generali (rendendole più sintetiche) e ripetute invece sulle carte: alcune su ogni carta (“descrivi il paesaggio” su tutte le carte luogo, “puoi scartare per interrompere chi sta raccontando e sostituire il narratore per un minuto ” su tutte le carte avvenimento…) e altre solo sulle carte che le necessitano (“i limiti imposti dalla forma del tabellone hanno sempre la priorità” solo sulle carte che dettano la direzione del movimento…) .
Se mi soffermo su questi dettagli è perché la forma in cui si presenta, con i pezzi “parlanti”, è proprio ciò in cui questo prototipo mi sembra più riuscito, e quindi vorrei vederlo ulteriormente perfezionato in questo senso.

In sintesi

Vedo molti spunti interessanti su come superare la forma del libro adottando il linguaggio visivo dei più semplici giochi da tavola, e intravedo o credo di intravedere una finalità “emotiva” nel gioco che trovo affascinante. Il prototipo è ancora troppo lacunoso per ipotizzare un playtest esterno, ma con poche integrazioni verbali permetterebbe di collaudare il gioco in presenza o con la partecipazione dell’autore.
Purtroppo, prevedo che al collaudo il gioco risulterà insoddisfacente, per difetti delle meccaniche che porteranno i giocatori a non avere motivo di scegliere una mossa o un altra (con particolare riferimento alla mossa di “interrompere”). Spero quindi che Davide continui a sviluppare il gioco concentrandosi innanzitutto su questo punto, e una volta escogitate delle meccaniche pienamente soddisfacenti si dedichi a perfezionare la già promettente presentazione.

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