Tuesday, June 4, 2013

Recensione Game Chef 2013: “Le cronache del sangue e del ferro”, di Alberto Tronchi

[Here is one of four reviews I'm supposed to write for Game Chef 2013. It's in Italian, since I participated in the Italian-language subsection this year. I apologize to my non-Italian-proficient readers for the high amount of Italian posts on this blog of late! Regular English posting to be resumed in about a week.]

*EDIT: aggiunto un link all'elaborato recensito*

Le cronache del sangue e del ferro (d’ora in poi soltanto Cronache) è uno di quei giochi di ruolo tutti costruiti attorno a una singola idea centrale per una nuova meccanica; meccanica che, in questo caso, è eccellente. Purtroppo, è lo sviluppo di tutto il resto dell’impianto del gioco a non essere minimamente all’altezza: i difetti strutturali sono abbastanza macroscopici (e fondamentali) da rivelarsi già alla lettura al punto che, fatto inconsueto, mi sento del tutto certo del mio giudizio senza alcun bisogno di una prova pratica.
In aggiunta, devo evidenziare come questo si proponga come un gioco per “2 oppure 4” giocatori, ma è chiaro alla lettura che è stato interamente pensato per quattro, e solo in alcuni casi sono esplicitate le variazioni da apportare alle regole qualora si giochi in due.

L’ottima idea

La meccanica centrale di Cronache è quella di estrarre casualmente un tassello con un’icona (un’immagine grafica fortemente stilizzata, monocromatica, proveniente dal sito Game-icons.net), assegnare creativamente un titolo alla figura e da questa coppia di immagine e parole trarre ispirazione libera per un contributo alla fiction condivisa.
Il concetto generale di usare input visivi astratti nel gioco di ruolo è qualcosa di cui personalmente sono innamorato da molto tempo (non a caso, io stesso sto elaborando da anni un gioco che usa in questo modo i tarocchi), ma non avevo mai pensato di ricorrere a immagini tanto sintetiche quanto lo sono queste icone. L’invenzione geniale di Alberto Tronchi, comunque, secondo me sta nell’atto di aggiungere all’icona un titolo: l’immagine astratta e sintetica si trova così contemporaneamente ampliata e specificata, e la diade icona-titolo così costituita è un oggetto assolutamente completo e complesso, dal ricco potenziale di generare sfumature di significato. L’atto di intitolare liberamente l’immagine, in sé, si potrebbe ravvisare a giochi come Dixit (Roubira 2010), ma le sue implicazioni sono molto diverse quando l’immagine, anziché fiorire esuberante di elementi come appunto le carte di Dixit o i tarocchi “esoterici”, si attiene alla sintesi pulita e scarna di questi piccoli disegni.
Mi entusiasma anche come questa meccanica di interpretazione delle icone è usata per creare collettivamente l’ambientazione fantasy. L’impero di Varytion, infatti, viene tratteggiato in poche righe, nelle quali si danno dei precisi “paletti” di ambientazione: dati di fatto inalterabili, ma molto schematici; oltre questo punto, la “creazione del mondo” è lasciata, giustamente, ai giocatori, che in questo devono farsi ispirare da icone estratte casualmente. Oltre a trovare questo approccio soggettivamente più divertente rispetto al leggere pagine e pagine scritte dal game designer, ritengo sia anche un metodo oggettivamente più pratico e accessibile, perché offuscando il confine tra “preparazione” e “gioco” coinvolge quasi da subito i giocatori in un’attività creativa pratica; tanto più che le informazioni così “prodotte” risultano in genere più facili da ricordare durante la partita rispetto a nozioni assorbite passivamente. Molto giustamente, oltretutto, questa fase del gioco dura tanto quanto i giocatori desiderano.
Il passaggio successivo, che si svolge con modalità simili, è la creazione dei personaggi, a cui mi sento di fare solo un appunto o due. Trovo infatti che i concetti di “Essenza” e “Passione” del personaggio non siano nel testo né definiti abbastanza chiaramente, né distinti l’uno dall’altro in maniera sufficientemente netta: secondo me, queste descrizioni andrebbero riformulate. Inoltre non sono del tutto convinto dall’idea di limitare l’Essenza a solo otto possibilità, anziché lasciare che sia una domanda a risposta aperta come per la Passione e il Destino: al di là del dare più evidenza agli “ingredienti” del Game Chef (problema che naturalmente nasce e muore con questa prima bozza), mi sembra che il senso di tale scelta di design possa essere quello di fungere da “tutorial” per le successive due fasi della creazione del personaggio, mostrando come a una medesima icona possano darsi “titoli” molto diversi… Tuttavia, i giocatori non dovrebbero essersi già impratichiti con l’interpretazione delle icone durante la fase di creazione del mondo?
Una menzione di lode al personaggio d’esempio: non solo perché si tratta vistosamente di un “antieroe”, ma perché in poche righe presenta una personalità assai sfaccettata e tridimensionale.

La pessima idea

Dopo le fasi preparatorie, con tutti i loro pregi, veniamo però alla struttura centrale del gioco e a come vi viene inserito il sopralodato metodo di interpretazione delle icone. Qui, purtroppo, tutte le ottime premesse vengono deluse. Nel suo stato attuale, Cronache è un gioco di monologhi misurati col cronometro, che offre ai giocatori pressappoco il grado di interattività di un “reality show” televisivo. L’aspettativa che mi si è creata alla lettura è quella di quattro-cinque ore di noia crescente (si provi a fare il conteggio della durata prevista per le “scene”), o al massimo, nella migliore delle ipotesi, quella di una versione meno evoluta de Il Barone di Munchausen — pionieristico gioco di James Wallis di cui ho un’altissima opinione, considerato anche che risale a circa quindici anni fa, ma comunque meno sofisticato rispetto a numerosi e ben noti design successivi, e tuttavia superiore a Cronache per durata della partita (con soli quattro partecipanti sarebbe altamente improbabile superare le due ore), flessibilità nel numero dei giocatori, concisione del regolamento (esposto in una pagina) e perfino, quel che è più grave, per l’effettiva interazione (quantità e qualità degli scambi fra giocatori durante la “narrazione”).
Intanto, è un problema il fatto che ogni scena, senza eccezioni, sia interamente “narrata” da un giocatore singolo (ma non sarebbe intrinsecamente un problema se solo alcune o perfino la maggior parte delle scene lo fossero: vi vedano Perfect di Joe Mcdaldno e Microscope di Ben Robbins per esempi di design che impiegano ampi spazi di “narrazione” unilaterale con notevole profitto). L’autore si mostra consapevole della noia che può derivare da questa scelta di design, e infatti tenta di arginarla (maldestramente) con l’imposizione rigida di un limite di tempo: ma ciò non può essere che un palliativo, per di più scomodo da mettere in pratica (perché richiede di giocare tenendo d’occhio un cronometro).
Come unica forma d’interazione fra giocatori, Cronache propone la combinazione di due espedienti che personalmente aborro entrambi come filosofie di design, almeno in un gioco di ruolo: la narrazione come difficoltà e il giudicare il gioco altrui. Quando dico “narrazione come difficoltà” intendo che i giocatori si sfidano l’un l’altro ad inserire determinati elementi (in questo caso, icone) nel racconto, anziché collaborare per farlo: dare a un gioco questa impostazione è negativo perché impedisce di suggerirsi a vicenda soluzioni, di scambiarsi veri contributi, che per me è invece uno degli aspetti più piacevoli del gioco di ruolo al tavolo, e lascia ciascuno in balia della propria eventuale “sindrome da pagina bianca”; alla lunga, produce un ambiente ostile e porta alla disgregazione dello spazio immaginato condiviso, perché più un giocatore si impegna nel creare “avversità”, in questo caso suggerendo spunti non facili da integrare, più è probabile che ciò metta un altro giocatore nell’impossibilità di proseguire. Riguardo al giudicare “quanto bene” giocano gli altri, trovo che ciò sia valido finché si tratta di un “applauso”, di un feedback esclusivamente positivo non sollecitato, come il noto meccanismo delle “fan-mail” in Avventure in prima serata di Matt Wilson; qui invece si chiede agli altri giocatori di agire come la giuria di una gara di tuffi, e questa è la principale o unica fonte dei punteggi che decidono del destino dei personaggi a fine gioco. L’autore è chiaramente consapevole di quanto questo approccio sia confusionario, e di come possa portare a conflitti d’interesse (tra giocatore e giocatore, di un giocatore con sé stesso, fra diversi impulsi creativi): infatti si sente in dovere di specificare che Cronache “non è un gioco competitivo”, chiedendo fra l’altro ai giocatori di essere giudici imparziali di sé stessi (uno dei compiti più difficili per chiunque, temo).
Ma anche se, per assurdo, considerassimo buoni i principi di design alla base di Cronache, vi sarebbero comunque in questa prima versione una serie di errori (in alcuni casi forse sviste nel testo?) sufficienti a minarne la giocabilità in modo critico, e che quindi suggerirei di correggere subito, prima di tentarne qualsivoglia playtest:
  • Nella fase di cerca, anche il giocatore di turno estrae un’icona per… porla come limite a sé stesso?! E alla fine è chiamato a esprimere un giudizio sulla propria prestazione di narratore riguardo quell’elemento, attribuendosi o meno un punto di Gloria?! Non credo proprio ce ne sia motivo, quando giocare con sole tre icone-vincolo sarebbe del tutto equivalente (dato che la meccanica di fine gioco è semplicemente una gara a chi ha più Gloria). E poi, che cosa accade in una partita a due giocatori? Due vincoli me li pongo da solo e due me li pone il compagno di gioco?
  • L’uso “normale” di una Relazione (ovvero, senza sacrificarla) conferisce… una proroga di due minuti sulla durata massima della scena?! E perché mai? Se il limite di tempo serve, come credo, per ridurre il rischio d’annoiare gli altri giocatori, il ragionamento è forse che riutilizzando più volte gli stessi PNG li si annoia di meno?
  • I punti Rovina sono inutili, nonostante che un terzo delle scene e almeno un quarto del tempo previsto di gioco (la fase di Caduta) siano focalizzati sulla loro acquisizione! La meccanica di fine gioco, infatti, è una semplice classifica dei protagonisti in base al punteggio di Gloria ottenuto. La Rovina conta solo se ha valore esattamente pari alla Gloria, nel qual caso fa scattare il finale “Destino”. Ma un personaggio che soddisfa le condizioni per “Destino” avrà comunque anche una posizione nella classifica della Gloria (primo, ultimo, o né primo né ultimo): il finale “Destino” ha la precedenza, oppure va considerato in aggiunta a una delle altre categorie? E se “Destino” ha la precedenza, qualora si applichi al personaggio con più Gloria lo “squalifica” dando il titolo di Campione al “secondo classificato”, o il gioco può concludersi senza che vi sia alcun Campione dell’Imperatrice? Il testo non risponde a queste domande.

L’idea non chiara

Il gioco dichiara la propria affiliazione a un genere letterario che l’autore chiama “dark fantasy”, dandone una definizione mi pare abbastanza personale, per la quale cita solo due opere esemplari (entrambe “saghe” a puntate piuttosto recenti, a quanto mi risulta). Fino all’altro giorno, se mi avessero chiesto che cosa si intende con l’espressione “dark fantasy” avrei osato scommettere su “una mescolanza di elementi dell’horror e del fantasy”, e forse avrei azzardato citare alcune opere di Howard P. Lovecraft o Michael Moorcock come esempi (insomma, la mia definizione avrebbe più o meno coinciso con quella proposta su Wikipedia inglese). Alberto Tronchi sembra pensarla diversamente, ma sembra anche dare per scontato che la propria opinione sia largamente condivisa… Ora, i confini dei generi letterari (o dei “generi” in qualunque accezione) stanno dove scegliamo di metterli, perciò non ha davvero molta importanza che cosa sia il “dark fantasy” secondo l’autore di questo gioco, o secondo me, o secondo qualche critico di narrativa commerciale o qualche utente di Internet: ciascuno la pensi pure come vuole. Il problema se mai è che, se l’espressione “dark fantasy” fa venire in mente a un lettore (in questo caso, io) qualcosa di diverso da ciò che pensava l’autore, allora il suo impiego non è una buona strategia comunicativa.
Strategia migliore, e in parte già impiegata in Cronache, è elencare esplicitamente i “canoni” del tipo di narrativa che si è preso a riferimento. I parametri qui forniti sono però molto scarni e tratteggiano un quadro abbastanza confuso, a volte rimarcando ciò che dovrebbe essere ovvio al comune buonsenso e a volte, apparentemente, contraddicendosi. Per esempio, mi si dice che “nessuno è completamente buono né completamente cattivo”, ma come potrebbe non essere così? Al contrario, se nel mondo immaginario di un gioco esistessero cose come il bene assoluto e il male assoluto, allora sì mi aspetterei che l’autore lo specificasse a chiare lettere, perché questa sarebbe una ben precisa differenza rispetto alla realtà, o almeno rispetto alla comune percezione della realtà. Tuttavia, subito dopo si aggiunge che “la Vergine Imperatrice è pura e priva di malvagità”, e che “i mostri sono temibili e crudeli”: due fatti che potrei intendere, invece, proprio come degli assoluti morali in contraddizione con quanto appena detto. Una spiegazione che mi sono dato è che l’autore si raffigura come lettore-tipo qualcuno la cui è esperienza del “fantasy” è fondata non tanto sulla narrativa quanto su linee editoriali quali Dungeons & Dragons Terza Edizione, Dungeons & Dragons Quarta Edizione e simili (con cui, in effetti, questa bozza mostra anche una certa affinità di registro linguistico): le indicazioni date sarebbero allora una lista di punti in cui la letteratura di riferimento di Cronache differisce dalla presunta esperienza ludica pregressa dei potenziali giocatori.
Tutto ciò ha importanza soprattutto perché il testo di Cronache insiste spesso sul rispetto del “focus”, cioè di questi vaghi paletti d’ambientazione e di tono, ma non fa molta chiarezza sul ruolo che la fedeltà al modello letterario avrebbe rispetto all’obiettivo finale del gioco. Su quest’ultimo punto, infatti, si esclude la competizione come fine, ma a parte ciò non si definisce nulla in maniera attiva. Debbo pensare che il vero scopo di Cronache sia il narrare storie quanto più possibile simili ai (quasi omonimi) romanzi-fiume di Martin? O forse “celebrarli”, nel senso in cui lo farebbe una fan-fiction? O ancora, che l’aderenza a questo modello sia solo strumentale, una scala su cui valutare la prestazione dei giocatori o una linea guida sulla cui base autolimitarsi, mentre il fine ultimo del gioco va ricercato altrove? Ci si può chiedere se l’assenza di chiarezza a riguardo sia un vizio di comunicazione, o se rifletta una simile assenza di chiarezza nella mente dell’autore.

In conclusione

Il mio suggerimento ad Alberto Tronchi è di ridisegnare Cronache in maniera molto radicale. Se fossi in lui, inizierei tentando di descrivere con molta più precisione il suo “genere” letterario di riferimento, poi passerei a chiedermi perché è importante e tenterei di definire con la maggior chiarezza possibile lo scopo, la finalità dell’esperienza di gioco. A questo punto, conservando sostanzialmente inalterate le fasi di creazione del mondo e dei personaggi, procederei a riprogettare da zero tutto il resto delle regole.

3 comments:

  1. Ciao sono Alberto, grazie per la valutazione! :)

    Colgo l'occasione per porti una domanda sperando mi possa servire per migliorare le prossime stesure del gioco, un grazie anticipato per il tuo tempo se mi vorrai rispondere. :)

    Dalla tua valutazione ho l'impressione (correggimi se sbaglio) che il gioco sia competitivo o che molti degli elementi principali spingano verso questo aspetto.

    Visto che la competitività non era assolutamente nelle mie intenzioni, anzi credo sia il modo migliore per spaccare il sistema, vorrei sapere da te se questa impressione è venuta dalla lettura del gioco, oppure dall'interpretazione delle regole che magari incosapevolmente spingono in quella direzione.

    Mi spiego meglio:

    Scrivi che le icone vengono giocate per complicare la narrazione del giocatore di turno, ma questo non è vero (almeno nelle mie intenzioni) un giocatore crea il titolo dell'icona seguendo la sua ispirazione e basta, cercando di rendela evocativa per il focus del gioco.

    Per lo stesso principio non ci vedo niente di male se lo stesso giocatore di turno crea per se una o più icone.

    I giocatori non valutano la narrazione altrui, ma solo se l'icona loro corrispondente è stata integrata, sempre per questo motivo non vedo difficile per un giocatore valutare se l'icona da lui stesso creata sia entrata in gioco o no.

    Più in generale alla base del gioco c'è l'idea di ricreare un genere di storie in modo corale e senza dover fare i conti per vincere a tutti i costi, la gloria determina chi sarà il campione ma seguendo il genere non c'è nessuna garazia che il finale sia il migliore.

    Ottima la riflessione sul genere e sui canoni, effettivamente mi hai fatto vedere quanto sia difficile trasemttere il feeling del gioco e come scrivere un generico Dark fantasy possa creare più confusione che altro.

    Sui punti rovina, nel testo ho bellamente omesso che se i punti rovina sono superiori ai punti gloria non si può concorrere al titolo di campione. :(

    Grazie ancora per la valutazione, mi hai datto un sacco di spunti su cui riflettere

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  2. Grazie a te per i commenti!

    Dunque, sulla competitività, o meglio sul potenziale di competitività, il problema per come la vedo io è che il tutto si regge su un equilibrio estremamente precario.
    Probabilmente è stata una mia deformazione personale leggere l'inserimento delle icone come il "porre una sfida" all'altro giocatore: evidentemente cercavo di rintracciare da qualche parte la comune funzione del creare avversità, che è una delle cose che in genere danno mordente a un gioco di ruolo.
    Comunque, io tendo a partire dalla considerazione che, se le regole di un gioco lasciano anche solo il minimo appiglio alla competizione, moltissimi giocatori lo tratteranno istintivamente come un gioco competitivo, e non serve assolutamente a nulla dir loro di non farlo. Se non si vuole un gioco competitivo, non bisogna minimamente lasciare adito alla competizione in alcuna parte del sistema. E tuttavia, non vorrei fissarmi su questo punto, dato che in verità potrei anche elencare tantissime eccezioni a questa "regola".

    Per quanto riguarda il valutare la narrazione altrui, la tua bozza dice (pag. 9, enfasi mia):
    «Alla fine della Cerca, ogni giocatore decide se l'icona da lui creata è stata meritevolmente inserita[…]»
    e in questo "meritevolmente" io leggo proprio un giudizio sulla qualità del gioco.
    Se non è così, cioè se la tua intenzione è che si valuti in maniera, diciamo, "binaria" e oggettiva se l'elemento è stato inserito oppure no… allora il meccanismo premia (o almeno, rende Campione dell'Imperatrice) soprattutto chi dimostra la capacità di parlare tanto e toccare molti argomenti in pochi minuti. E in ogni modo si tratterebbe comunque di una "sfida", anche se ogni giocatore contribuisce alla difficoltà della sfida in misura fissa (1 elemento).
    Hai presente il gioco di carte C'era una volta? Funziona più o meno nello stesso modo, premiando la capacità di inserire nel racconto il maggior numero di elementi dati, più o meno tangenzialmente. E in quel gioco, notoriamente, si ha una forte tensione irrisolta tra il "vincere" (insomma, l'accumulare punti) e il raccontare una storia soddisfacente (o almeno passabile), perché generalmente le due cose non vanno insieme affatto.

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  3. Grazie per le delucidazioni e ora capisco meglio il tuo punto di vista che devo dire mi trova anche decisamente concorde, sopratutto sul lato competitivo che bene o male può emergere anche inconsciamente.

    Mi ha colpito molto la sottile differenza che mi fai notare tra i due tipi di valutazione e che comunque portino entrambi lontano da quello che avevo in mente! :O

    Direi che mi hai dato parecchio da riflettere...

    Come ho già scritto in risposta a un'altra valutazione avevo già messo in conto di rivedere la meccanica delle fasi e direi che adesso ne sono ancora più convinto.

    Grazie ancora! :)

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