Saturday, March 28, 2009
Little Game Chef: aggiornamento
Friday, March 20, 2009
Little Game Chef 2009
Monday, March 9, 2009
"Il Sogno" è morto. Viva "L'Orgasmo".
Il sonno agitato nel quale sognai Adolf Hitler
Di norma non dovrei essere particolarmente preoccupato per il destino di Adolf Hitler, se non fosse che ho in corso una campagna la cui ambientazione è riassumibile in "eroi pulp della II Guerra Mondiale con modesti super-poteri contro la minaccia nazista", utilizzando il Solar System di Clinton Nixon/Eero Tuovinen, e ne sono Story Guide (corrispettivo del master).
...e improvvisamente, nel bel mezzo dell'incubo, mi rendo conto che nel Solar System non ho il potere di salvare la pelle al PNG "Hitler" se i giocatori sono seriamente determinati ad ammazzarlo!
Thursday, March 5, 2009
Il teatro delle ombre e il perché di quell'immagine là in alto
Quelli che seguono sono due estratti dal volume di Giovanni Azzaroni Società e teatro a Bali (CLUEB, Bologna 1994), e più precisamente dal capitolo che tratta dello wayang kulit, il "teatro delle ombre", particolarmente sviluppato e di grandissima rilevanza culturale nelle isole di Giava e di Bali.
Il primo brano descrive l'allestimento scenico dello wayang giavanese (il più volte menzionato dalang è il principale interprete dello spettacolo, colui che in italiano potremmo chiamare il "burattinaio"):
L’equipaggiamento scenico è costituito da un largo telo di cotone bianco incorniciato (kelir), che rappresenta il background sul quale si stagliano le ombre, con i bordi superiore e inferiore ben tesi e di stoffa rossa. La lampada a olio di cocco (blencong), che tradizionalmente illumina lo schermo, è di bronzo, a forma di Garuda o di aquila, con le ali parzialmente distese; un piccolo stoppino, inserito anteriormente sul beccuccio, produce una fiammella gialla alta dai dieci ai quindici centimetri: l’ondeggiare e il muoversi della fiamma pare insufflare la vita alle ombre. In anni recenti la magia evocata dalla lampada a olio è stata spazzata via dall’adozione di fredde lampade a gas o di lampadine elettriche. Le sorgenti luminose sono appese a una distanza di quaranta centimetri dallo schermo, leggermente al di sopra della testa del dalang. Poichè nel corso di azioni particolari, ad esempio una corsa, non tutte le parti componenti le figure di cuoio possono essere mostrate con soddisfacenti esiti tecnici si preferisce privilegiare, in questi casi, le parti principali della figura, ad esempio il volto, trascurando le altre. Gli spettatori che siedono dalla parte del dalang vedono le figure di cuoio, mentre per coloro che si trovano dalla parte opposta sono visibili esclusivamente le ombre, cosicché il dalang, le figure e l’orchestra possono essere osservati. Sino a un centinaio di anni fa il pubblico era diviso per sesso: gli uomini dalla parte del dalang, le donne dall’altra parte; questa separatezza non è ora osservata, nonostante la religione mussulmana caldeggi la divisione dei sessi durante gli spettacoli pubblici. Attualmente la maggior parte degli spettatori trova posto dalla parte del dalang; gli appassionati e gli addetti ai lavori preferiscono recarsi dal lato opposto per non essere distratti nella visione del mutevole mondo del wayang dal rumore e dall’animazione della messa in scena. Il dalang siede su una piattaforma di tronchi di banano (debok o gedebok), fissati su due livelli al di sotto dello schermo: il più alto è unito all’intelaiatura dello schermo, il più basso è aggettante per venti-venticinque metri. La pedana superiore si estende, oltre la larghezza dello schermo, per circa quattro metri e mezzo in ogni direzione. Dietro al dalang i musicisti (nijaga), con gli strumenti del gamelan (da dieci a venti), siedono in modo da formare un ferro di cavallo, al centro del quale trovano posto una o due cantanti (pesinden). Due batacchi di legno (cempala), tenuti con la mano sinistra e battuti contro la cassa (kotak) nella quale è riposta una serie di figure, poste alla sinistra del dalang, e quattro o cinque piatti di metallo appesi (kepjak oppure keprak oppure kecrek) sono adoperati dal dalang per produrre effetti sonori.
Così M. A. Sunardjo Haditjaroko descrive la preparazione dello spettacolo:
«La sera della rappresentazione del wayang è alla fine arrivata. Nel buio gli insetti hanno già iniziato a volare attorno alla tremolante fiamma di una lampada a olio. che getta la sua luce abbagliante sul grande schermo bianco della scena. Nella parte inferiore dello schermo di stoffa le splendide figure di cuoio sono ordinatamente messe a posto: i corpi tenuti fermi da un bastone sono saldamente conficcati in un tronco di banano, posti al di sotto del sipario. Nella parte destra si trovano i personaggi buoni, in quella sinistra i malvagi. Lo spazio tra questi, circa un metro e ottanta centimetri, rappresenta la scena. Qui le figure prendono vita, come veri esseri umani, faranno del proprio meglio per percorrere il sentiero infinito dell’umana felicità. Gli strumenti musicali, circa quindici, sono messi davanti allo schermo. Sono ora le otto e trenta della sera. Uno dopo l’altro i musicisti prendono posto. Il leader del gruppo, il suonatore di tamburo, batte alcuni colpi di prova con le dita. Gli altri membri dell’orchestra seguono il suo esempio. Una dolce combinazione di suoni differenti riempie la stanza. Ma presto il suono improvvisamente si arresta. Moltissimi spettatori si stanno recando allo spettacolo. Alcuni vengono da lontano, impazienti di vedere il wayang. Poiché si rappresenta il teatro delle ombre, il posto migliore per vedere è naturalmente la parte buia dello schermo, riservata alle donne e alle ragazze. Gli uomini e i ragazzi guardano dai posti situati dalla stessa parte dello schermo illuminato dalla lampada. È vero, essi guardano le figure di cuoio senza vedere le ombre, ma osservano le bellissime figure, ne seguono i movimenti e osservano le impugnature degli strumenti e i trucchi.
Alle nove meno cinque minuti il dalang riunisce la compagnia. Prende posto di fronte allo schermo, a destra sotto la lampada, con i musicisti dietro. Come chiunque altro siede con le gambe incrociate. Poi inizia a bruciare incenso in un fornello di argilla aperto al fine di invocare il favore delle anime dei suoi antenati, degli spiriti e degli dei: chiede di essere dotato della necessaria pazienza, chiarezza di pensiero, agilità di mente in ogni occasione, facilità di lingua, poiché gli errori produrrebbero commistioni tra le voci dei personaggi maschili e femminili, inclusi personali manierismi, e una non corretta imitazione delle voci degli uccelli e degli animali della foresta nuocerebbe al suo prestigio.
Quindi, egli procura che le offerte sacrificali allontanino le interferenze degli spiriti presenti: un giovane gallo, fiori, riso cotto con cibi speziati.
Finalmente varia la posizione del piede destro in modo che le dita tocchino proprio il kechret o kepyak…
Il punto su cui mi interessa richiamare l'attenzione è, in verità, solo uno. Per coglierlo, però, chiedo al lettore di interpretare alcuni dettagli dei brani che ho proposto con una certa dose di malizia, non fermandosi a quella che per il moderno lettore occidentale sarebbe la superficie più ovvia delle parole.
Soprattutto l'autore citato da Azzaroni nel secondo brano pecca, a mio avviso, di moderno sentimentalismo... mentre io non sono affatto convinto che la società tradizionale abbia mai riservato "alle donne e alle ragazze" i posti migliori da cui assistere allo spettacolo. Sono convinto, se mai, che fossero riservati a questa parte del pubblico i posti ritenuti più adatti a spettatori più semplici e più sempliciotti, spettatori di minor discernimento - mentre "uomini e ragazzi", ne sono convinto, andavano e ancora vanno ben fieri di sedere dalla parte "degli addetti ai lavori": dalla parte dello schermo che è riservata a chi capisce.
Non a caso infatti a Giava, in barba alla segregazione dei sessi, tutti quanti vogliono sedere alle spalle del dalang, invece che davanti allo schermo... Tanto che qualche mezzo asociale, con sensibilità moderna, si è autoimposto di sedere davanti allo schermo (come i bambini, dico io!) pur di sottrarsi alla calca. Ebbene, evitando di confinarci in un gioco mentale di peggio-è-meglio e meglio-è-peggio, fin troppo facile alla nostra sensibilità contemporanea, o di partire per la tangente denunciando il popolo bove perché non arriviamo all'uva (niente di così moderno, in fondo), io infine ti domando, mio paziente lettore:
QUALE LATO DELLO SCHERMO È IL MIGLIORE?
Wednesday, March 4, 2009
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EDIT al 28 luglio 2010: no, ora non più.