Thursday, July 29, 2010

Martirio e apologia di certe piccole e brutali democrazie rivoluzionarie

Pirate ships are democracies. The pirate company elects its captain and can call for him to step down and accept replacement if it’s not satisfied. The company also votes where to sail, how to provision the ship, and what ships to attack as they go.
However, you and I both know what small group democracies are like. I’ll lay you twenty that more decisions get made by doubledealing and bullying than by honest vote.
Still, when you trace a pirate ship’s path, it usually won’t seem to have much sense or forethought behind it. Maybe they do travel at the whim of the vote after all. (D. Vincent Baker, Poison'd)
Per molti dei miei lettori è certo una notizia già vecchia l'annuncio che One Manga sta per chiudere. Scommetto anzi che molti di voi si sono già messi da un pezzo alla ricerca di alternative, e magari le hanno anche già trovate, o no? Io invece, debbo ammetterlo, non sono mai stato un loro utente — proprio questo anzi è il periodo della mia vita in cui volentieri lo diventerei, se non fosse già troppo tardi. A pungolarmi a scrivere dell'argomento in questa sede è stata peraltro questa discussione su Gente che Gioca, specie per i curiosi esiti che ha avuto.
Esporvi il mio punto di vista a riguardo mi richiede, innanzitutto, di rinviarvi al recente passato (e in particolare qui e qui). Ora penso indovinerete dove voglio arrivare... Come quasi sempre (e in linea di principio sempre) in materia di copyright, qui gli interessi salvaguardati, gli interessi "a rischio d'essere lesi", non sono in realtà quelli di alcun autore, di alcun creativo, bensì quelli di un sodalizio di vecchi lenoni delle case editrici. "In un mondo ideale" (quello cioè in cui gli autori e solo gli autori mantengono - sempre - la proprietà delle loro opere, ma la ragione della diffusione della cultura prevale per principio sulla ragione del profitto individuale) anche le serie a fumetti giapponesi sarebbero autoproduzioni, e le varie combriccole di "fansubbers" e "scanlators" rappresenterebbero l'unica forma di interfaccia con l'estero di cui un'opera possa mai aver bisogno. Se come me siete giocatori o game-designer che attribuiscono un valore all'essere "indipendenti", se credete in quanto fu enunciato da Ron Edwards in The Nuked Apple Cart (ora anche in italiano), allora amici voglio credere che la vostra opinione sulla grossa editoria in genere non si discosti troppo dalla mia.
E con questo, dunque, vorrei esaltare i "pirati" a eroi del popolo e della rivoluzione? Piano... Ammettiamo, innanzitutto, che la preponderante  maggioranza degli utenti di One Manga e consimili sono individui ai quali ne frega meno d'un cazzo delle questioni ideologiche: sono solo, molto più banalmente, gente che se ne approfitta per non "uscire i soldi" [grazie, Daniele!]. Ma chi invece le scanlation le realizza (facendosi "un culo tanto") non può certo essere mosso da opportunismo o pigrizia, evidentemente, né da ragioni di profitto: quella è gente che lo fa per passione, e come tale merita tutto il nostro rispetto.
Aggiungo, poi, che sono assai restio a inneggiare all'infrazione della legge, a dispetto della stupidità d'ogni normativa sul copyright: sono restio perché constato come invece siamo ancora obbligati a sfruttare proprio la stupida lettera delle leggi per rendere possibile il copyleft, e non abbiamo oggi altre linee di difesa contro i baroni feudali della "proprietà intellettuale".
Eppure alla gente che sta dietro a One Manga — così come ad altri Robin Hood della cultura umana — sento di dovere innanzitutto rispetto per il loro coraggio, che ha permesso loro di (r-)esistere finora, e per una nobiltà di fini che, non valendo a giustificare indiscriminatamente i mezzi, merita purtuttavia stima. La democrazia dei pirati? Violenta e discutibile, ma pur sempre democrazia in un mondo che altrimenti non ne conosceva affatto.
Tornando invece al (vero) punto di partenza del mio ragionamento: su Gente che Gioca l'intero contenuto di questo mio post avrebbe violato il regolamento (e, per la verità, ne avrebbe violato norme plurime). Può aver senso una cosa simile, vista la "missione" di quel forum? Io lo trovo profondamente sbagliato, un vero e proprio "bug", e insisterò per una revisione del regolamento che ne tenga conto.

Tyler Durden pensa che il fine giustifichi i mezzi. Io, per conto mio, condivido solo parzialmente i suoi fini, e un po' meno ancora i suoi mezzi. Ma mi è comunque simpatico.

11 comments:

  1. In realtà a me sembra che l'idea di Ralph contenga un cortocircuito logico piuttosto rilevante. Direi che le sue parole descrivono correttamente il modello che si cerca di imporre, ma a differenza di quello che sostiene lui quel modello non ha niente di naturale, non si tratta di una evoluzione spontanea legata al passaggio ad una società delle idee.

    Il problema come al solito si pone quando si parla di beni intangibili. Il punto è che, almeno dal mio punto di vista, la possibilità di "accesso all'opera di un autore" non rappresenta un servizio in sé. In generale il servizio offerto è quello del mediatore che ti dà i mezzi per accedere all'opera. Quando vado al cinema non pago per la possibilità di vedere un film. Pago l'accesso alla sala cinematografica e a tutti i benefici che comporta: il compenso agli autori/distributori lo paga il proprietario del cinema (che poi ovviamente lo ricarica sul pubblico). Pago per uno spettacolo, esattamente come quando vado a teatro o ad un concerto.
    Direi che il puro e semplice accesso all'opera di un autore può essere considerata fornitura di servizio in sé e per sé solo nella misura in cui qualcuno riesce a rendere altrimenti inaccessibile quella stessa opera (ovviamente questo vale solo per quei beni che possono essere "duplicati" e quindi usufruiti senza sottrarre ad altri la possibilità di fare lo stesso).
    Molte delle corporation che adottano politiche draconiane in materia di copyright si trovano a soffrire di questo problema: non hanno più il controllo totale sui metodi di distribuzione di un'opera (il servizio appunto) e quindi cercano di rendere illegali quei metodi di distribuzione che non passano attraverso loro. Così facendo si cerca di tenere in vita artificiosamente un servizio anche quando la sua utilità comincia a diminuire.

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  2. Parzialmente d'accordo: "parzialmente" perché in materia di diritto d'autore mi sono sempre trovato un po' a metà strada tra i duri e puri dell'editoria (con a capo quell'obbrobrio della Società Italiana Autorizzata Estorsioni, che in nome degli autori ingrassa in maniere assurde), e quelli del "La cultura dev'essere libera! Se voglio scaricarmi un libro gratis devo poterlo fare!": sono perfettamente d'accordo con la necessità di una revisione del diritto d'autore, ma credo nel contempo che il diritto di decidere le condizioni di fruizione di un'opera spettino all'autore, in quanto creatore della stessa (e anche in forza del fatto che dietro parte del gruppo della cultura libera si nascondono quelli che semplicemente non vogliono spendere).
    Si può valutare come rivedere la normativa, magari tenendo conto sia dell'idealità del diritto d'autore (l'autore ha i diritti dell'opera, compreso quello di deciderne le modalità di sfruttamento), sia dell'idealità della diffusione della cultura (cultura libera e disponibile per tutti); per esempio, tempo fa in una discussione avevo ipotizzato un termine di qualche anno dalla pubblicazione, prima del quale fosse illegale scaricare l'opera pirata (rispetto della prima parte), ma dopo il quale fosse invece legale (rispetto della seconda).

    Non concordo che il puro accesso all'opera possa essere considerato un servizio in funzione della misura in cui sia bloccato; non concordo perché per me nel pagare un libro non sto pagando solo la stampa, la distribuzione, ecc., ma anche il lavoro dell'autore stesso: il servizio che pago è avere la storia (o il gioco, o quello che è) scritto dall'autore.
    Se io compro Apocalypse World cartaceo ho un servizio maggiore; ma il fatto che esista in PDF non significa che dovrebbe essere liberamente scaricabile: il lavoro per creare quel regolamento c'è, carta o non carta. Il fatto che il PDF sia facilmente duplicabile dovrebbe diminuire i costi, ma non annullare il compenso all'autore.
    Dire che il servizio è solo la fornitura dell'opera fisica... mi pare come dire che il lavoro dell'autore non ha valore. Il servizio non è l'accesso all'opera: è l'opera in sé (o, forse meglio, il lavoro che l'autore ha fatto per scriverlo, lavoro la cui fruizione viene pagata).

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  3. Un'aggiunta: se invece il discorso di Leonardo era riferito alle attuali realtà, che di norma ancora presentano la figura dell'editore, la questione si complica un po': è vero che tale figura potrebbe essere obsoleta ("potrebbe" perché se lavorassero bene farebbero un lavoro di scrematura che sarebbe un servizio utile), ma comunque dietro al file ci sono dei costi: dalla revisione aiserver, passando per l'eventuale traduzione.
    Di certo l'attuale struttura dell'editore è obsoleta; è interessante il modello di Amazon, in cui (sotto alcune condizioni) l'autore prende il 70% del prezzo e Amazon il 30%. Konrath ha iniziato a vedere cosí, e sta facendo molti piú soldi di quando vendeva cartaceo (ma piú di dieci volte tanto).

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  4. Mauro, il mio era un discorso puramente pratico mentre mi sembra che tu abbia introdotto un fattore morale su cui sono anche in accordo ma che a mio avviso non cambia la sostanza delle cose. Sono il primo a comprare opere degli autori che voglio personalmente sostenere per dare loro la possibilità di continuare a produrre.

    Rimane il fatto che se si vuole essere sicuri che la gente paghi per accedere ad "opere di intelletto" (oggi facilmente duplicabili) l'unica maniera affidabile che conosco per farlo è quella di mantenere altrimenti inaccessibili tali opere.
    Ancora una volta, non ne sto facendo una questione di principio: sto solo dicendo che solitamente paghi un servizio e che se questo servizio è disponibile per vie gratuite e il suo uso gratuito non comporta la sottrazione del servizio stesso ad altri individui allora è probabile che molta gente sfrutti la scappatoia. Questo significa semplicemente che la fornitura di questo servizio potrebbe non rappresentare più una strada economicamente vantaggiosa da percorrere.

    A livello di principio non detengo la certezza che un'idea e la sua trasmissione debbano necessariamente essere monetizzabili. Tra l'altro le stesse tecnologie che rendono possibile duplicare con facilità certe opere sono quelle che in primo luogo hanno permesso a tali opere di ottenere visibilità e possibilità di essere commercializzate su scala globale. Ad ascoltare certe lamentele di alcuni editori mi sembra di sentire quegli industriali che si lamentano della concorrenza sleale cinese mentre allo stesso tempo delocalizzano in Asia la produzione per risparmiare sui costi.

    Sul diritto d'autore nutro dubbi e questo è curioso perché in qualche modo mi pone assolutamente al di fuori dei principi che animano The Forge. Sono sicuro che l'autore debba mantenere il diritto a poter lucrare in santa pace sulla propria opera ma non sono altrettanto sicuro che abbia il diritto di controllarne le sorti una volta che questa sia stata data in pasto al pubblico*. Questo perché una volta che un autore ha rilasciato un suo lavoro, tale lavoro diviene in qualche modo patrimonio condiviso dell'autore e di tutti coloro che ne hanno usufruito. E' un discorso che venne fuori qualche tempo fa su Story Games quando Matt Snyder annunciò che avrebbe interrotto la vendita di Dust Devils Reloaded.

    * ovviamente nei limiti di cui sopra e cioè nei limiti in cui nessun individuo che non sia l'autore originario ne assuma la paternità, la sfrutti economicamente o la modifichi in qualche modo senza permesso.

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  5. Un'opera (che va oltre un'idea: c'è tutto il lavoro per tradurla in lavoro finito) non dev'essere necessariamente monetizzabile, ma la scelta per me dev'essere dell'autore: se vuole essere pagato, è giusto che sia pagato.
    Il fatto che l'opera sia pubblicata non credo cambi questo: pubblicarla significa dare la possibilità ad altri di sfruttarla, non permettere a chiunque voglia di prenderla prescindendo dalla volontà dell'autore.
    Il discorso di Dust Devils è diverso, e piú delicato, proprio perché tratta di un'opera ritirata dal mercato: non si tratta quindi dell'eventuale diritto di un'autore di scegliere di essere pagato per la propria opera, ma di quello di poter eventualmente decidere se questa dev'essere ancora o no disponibile.

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  6. Il Diritto d'Autore difende tra l'altro la facoltà degli autori e degli editori di stabilire le modalità di distribuzione dell'opera. In Italia tra queste prerogative esiste anche il cosiddetto "diritto di pentimento" che permette di ritirare un'opera dal commercio.
    Citando da Wikipedia: "Il legislatore richiede la presenza di gravi ragioni morali ma la dottrina le individua anche nel mutare del pensiero dell'autore". Per questo avevo parlato di Dust Devils e a questo mi riferivo quando parlavo del controllo sull'opera una volta pubblicata. Questo giusto per chiarire.

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  7. Benvenuti nell'Orgasmo Cerebrale, ragazzi.

    Il mio discorso è innanzitutto ideologico, non pragmatico... Ma "ideologico" non penso significhi "parlo per dar aria ai denti", penso significhi: enuncio dei principi di ordine più elevato ai quali auspico che le azioni concrete degli uomini si allineino. E, aggiungo, comincio con l'allineare a quei principi ciò su cui ho potere, ovvero le mie azioni.

    Leonardo, tu descrivi perfettamente quella che ritengo sia l'attività primaria di editori e distributori nell'aver a che fare con supporti digitali (questione DRM, ecc.): si erigono arbitrariamente delle barriere d'accesso attorno a un bene che, di per sé, sarebbe illimitatamente disponibile, dopodiché ci si fa pagare il "servizio" per elargirti un lasciapassare revocabile per lo stretto e arbitrario cancello dell'arbitraria barriera. La considero una pratica moralmente aberrante, e da condannare. Così come disapprovo il ritiro dalla circolazione di un'opera, questo cosiddetto "diritto di pentimento": lo considero un deliberato atto di distruzione, alla stessa stregua del pisciare in un pozzo d'acqua potabile o del seppellire scorie tossiche in un campo di cereali ("Ma è il mio pozzo", direbbe un vero uomo della frontiera, "ed è il mio campo: perciò ho il diritto di farne ciò che mi pare!" Uhm, no ^^;).

    Quanto al problema del compenso agli autori, Mauro, il problema è strutturale al nostro sistema economico e sociale: non pretendo certo che si possa passare dalla cultura del copyright a quella del copyleft tutto d'un tratto e lasciando invariato tutto il resto, sarebbe assurdo. Parlo di direzioni in cui tendere.
    Remunerare gli autori per la fruizione delle loro opere è soltanto una delle possibili soluzioni al problema vero, che è quello del sostentamento degli artisti (a sua volta sottoinsieme del problema del sostentamento di tutti coloro che non svolgono attività produttive primarie, cioè tutti meno i coltivatori diretti e assimilabili, ma non divaghiamo troppo...). L'approccio al problema in vigore per svariati millenni, in una cultura del commercio di oggetti, è stato l'equiparare l'artista a artigiano (magari artigiano altamente qualificato, che se vogliamo poi è proprio ciò che in origine l'artista è) e qualsiasi opera d'arte a un prodotto artigianale commerciabile in quanto oggetto, per il suo valore pecuniario intrinseco o percepito. La scrittura, la letteratura, la stampa e infine l'informatica non hanno cambiato in maniera fondamentale questo approccio: l'artista nella nostra società dipende, per sostentarsi, dalla propria capacità di vendere le proprie opere come prodotti. Questo non è, evidentemente, l'unico approccio possibile... e nel mondo informatizzato, anzi, sta diventando un approccio sempre meno praticabile. Occorre sperimentarne altri.

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  8. Non dico che sia l'unico approccio possibile, non ho nulla contro licenze tipo CC e simili (che, anzi, uso) e sono il primo a dire che il diritto d'autore andrebbe rivisto; ma a mio parere la scelta delle modalità di fruizione è un diritto dell'autore, non del fruitore. Perché sarà anche vero che una volta digitalizzata un'opera è disponibile in quantità illimitata, ma la professionalità (si spera), le conoscenze, il tempo e il lavoro che l'autore ci ha speso non lo sono.
    Poi sono d'accordo che si dovrebbero ristrutturare varie cose (il diritto d'autore, la SIAE, la figura dell'editore, ecc.), ma spesso ho l'impressione che si rischi uno sbilanciamento dall'altra parte.

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  9. Ti prego di non interpretare il mio discorso in una maniera riduttiva. Secondo me, anzi, sarebbe auspicabile trovare nuovi modi di riconoscere e compensare "la professionalità, le conoscenze, il tempo e il lavoro" di un autore che non consistano solo nella vendita della sua opera un tanto al chilo al fruitore finale: quella è una logica produttore-consumatore che va bene per una lampadina, non per un libro.
    E poi stai quasi invertendo le relazioni di causa e di effetto: non è la "disponibilità illimitata" dell'opera in formato digitale a renderne inadeguata la vendita al pezzo... Piuttosto, il mio ideale a priori è che ogni frammento della cultura umana sia sempre immediatamente accessibile a tutta l'umanità. In questo senso, la digitalizzazione è un passo in avanti tecnologico in direzione dell'ideale.
    Nel mio ideale, il contributo che l'autore di testi (per esempio) dà allo sviluppo dell'umanità imponendo forma fruibile a oggetti culturali è anch'esso a priori meritorio e degno di riconoscimento, e la persona dell'autore una figura pubblicamente utile il cui sostentamento, se è un onere, è un onere dell'umanità che beneficia, tutta, della sua opera.

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  10. Il mio discorso era diverso: stante i nuovi modi di cui parli tu, mi chiedo se un autore non debba avere il diritto di decidere che la sua opera può essere fruita solo dietro compenso; se no, significa che la società ha il diritto di imporgli di far fruire la sua opera alle condizioni che vuole.
    Nota: ho capito che nell'idea di cui parli tu il compenso arriverebbe per altre vie, e sicuramente stante quel compenso avere la singola fruizione pagata perderebbe (in parte o del tutto?) significato; ma se un autore volesse comunque restare sul vecchio modello (magari facendo come Konrath, che vende i suoi libri a 2,99 Dollari)?

    Inoltre, come si definisce "oggetto culturale"? La questione non è stupida, perché è il fulcro del criterio decisionale per stabilire chi pagare in un'ipotetica situazione in cui sia la collettività a farsi carico degli artisti. Un Martin ci rientrerebbe? Una Troisi? D&D? Cani nella Vigna?
    C'è chi adora la Troisi e chi la odia; c'è chi odio D&D e chi lo considera l'unico vero gioco di ruolo. Che criterio usare?
    E, una volta stabilito un criterio secondo cui uno è dentro e l'altro è fuori, chi è fuori cosa dovrebbe fare? Rimanere sul vecchio modello o dare la sua opera gratuitamente.

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  11. Metto in evidenza che un dibattito analogo è in corso su Story Games Community: link

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